Drammatico, Recensione

IZMENA

Titolo OriginaleIzmena
NazioneRussia
Anno Produzione2012
Durata116'

TRAMA

Un uomo e una donna si conoscono per caso e vengono a sapere che i loro rispettivi coniugi sono amanti. La scoperta li spinge a fare cose che non avevano mai osato prima. Cosa prevarrà, il sentimento di gelosia o la passione? E cosa sceglieranno, la vendetta o il perdono? I protagonisti cercano qualcosa su cui poter ricostruire una nuova vita, ma non è facile, ogni loro azione è condizionata dal dato di fatto dell’infedeltà, e questa infedeltà ha la sua logica.

RECENSIONI

Lei fa il medico e sa della tresca che coinvolge suo marito e la moglie di Lui, un suo paziente; quest'ultimo la ignora del tutto. Ma è giunto il momento che ne venga a conoscenza. Roba da melodramma, ma il film di Serebrennikov predilige toni straniati e lo congela in una gabbia incontaminata, lo consegna a un'immagine geometrica di nitore ricercato, la sua storia sviluppandosi su una lucente griglia visiva, in spazi delineati da luci e colori, schema criptico nel quale muovere pedine. L'autore gioca coi significati, suggerendo metafore evidenti (fino al pacchiano: il cervo) e sottilmente giocose, che si fanno largo tra i fatti (Lei è una cardiologa: i problemi sono di cuore), tra i dialoghi (Lui, paziente forse cardiopatico, cui si rivela l'adulterio: «Pensi di stare bene e invece»), nelle immagini (sul letto matrimoniale la distanza della coppia sposata si misura dalle loro posture: il corpo del marito, sotto la coperta, girato su un fianco, quello di Lei, supino, avvolto nel solo lenzuolo); la dialogistica è secca, impregnata di ironia: la disperazione è un sottotesto, l'incomunicabilità (Antonioni echeggia) comunque insopprimibile.

Betrayal è un film focalizzato sul tema, l'infedeltà, e vuole esaurirsi in esso; null'altro conta: non l'identità dei personaggi, non la loro quotidianità; non è dato spazio alcuno al loro contesto esistenziale, la città che abitano è anonima, pura quinta del teatro delle vicende. Se i destini si incrociano è perché tradimenti si intrecciano; s'impone un nuovo sguardo sulla persona che si ha accanto perché si è rivelata diversa da come la si dipingeva; una partita laconica si gioca nel campo ristretto delle relazioni dei personaggi: come in In the mood for love, Lui e Lei, i traditi, ricostruiscono i movimenti dei consorti. Cercano di indurli a una confessione. Come per una vendetta sterile provano a divenire amanti a loro volta, applicando una procedura calcolata e fredda, prevista meticolosamente, gesto per gesto. Ma inutilmente: sono ancora le vittime delle circostanze, i tempi non sono maturi. Fino alla morte dei fedifraghi sulle cui circostanze si stende - puntuale, avvolgente - un nuovo velo di ambiguità.

Ma nessuna svolta di questo film è prevedibile, neanche quando sembra che, nella seconda parte, semplicemente, si limiti a ribaltare le prospettive, a cambiare meccanicamente pelle, a fare dei traditi due nuovi traditori-carnefici che imitano il cammino di chi li fece soffrire, come se il film slittasse semplicemente di un livello, come se si compisse un ciclo. E si passa dalla fissità antonioniana al mystery lynchiano (il passaggio temporale è mirabilmente reso con un piano sequenza che genialmente mette in scena, senza infingimenti, il teatrale cambio di abito della protagonista che, camminando in un bosco, passa dalla primavera all'inverno, da un'era all'altra della sua vita, quasi sembrando entrare in un altro film) con Lei e il nuovo marito in una casa labirinto, stilizzata e densa di ombre, dove ogni parola pesa una tonnellata e in cui ciò che sembra un ricorso fatale, di fatto non lo sarà (le strade si perdono): la donna (che visse due volte: la meravigliosa Franziska Petris: Novak dentro - e fuori -) vive in un teorema (volutamente) imperfetto.

Visivamente sontuoso, il film inanella sequenze studiate fino alla maniacalità, che sfiorano il compiacimento mantenendolo sano, il regista colpendoci per la disinvoltura con la quale scarta le prevedibili meccaniche del dramma, per come scientemente spiazza lo spettatore a ogni risvolto svelato. Niente è possibile prevedere, tutto può accadere in questo film beffardamente citazionista che mescola generi e in cui l’impronta unificante dell’autore è tutta in quell’impalpabile equilibrio tra una scrittura ambiziosa - che sprezza la psicologia e non teme di deragliare, anche pericolosamente - e un impianto visivo, raffinato senza pudore, che ostenta fiero le sue pretese compositive.

«Ho girato un disaster-movie sulla relazione uomo donna» dice il regista del film più sottovalutato di Venezia 69.