Recensione, Supereroi

IRON MAN 3

TRAMA

Un anno dopo i fatti di New York (The Avengers), Tony Stark è alle prese con le sue (42) armature, soffre di insonnia e di attacchi di panico. Intanto, un misterioso terrorista, “Il Mandarino”, minaccia gli Stati Uniti.

RECENSIONI

La trilogia di Iron Man si chiude più o meno com'era iniziata, con una disomogenea e disorganica commistione di cose. Il Marvel Movie classico, cioè, che da un lato si esibisce in tutta la sua protocollare grandeur effettistica e dall'altro dispensa (auto?)ironia furbetta e smaliziata, con Robert Downey Jr. talmente impegnato a interpretare Robert Downey Jr. che meta-interpreta Tony Stark da dimenticarsi di recitare. Come se non bastasse, in questo terzo (ma poco terso) capitolo, si sovraccarica il tutto con un ingombrante paratesto post 11/9 che ingarbuglia la faccenda mentre la (e)semplifica: la vicenda del Mandarino BinLadeniano come macchietta finzionale, funzionale a un progetto terroristico “interno”, va preso ironicamente sul serio o è un semplice divertissement nel divertissement? E ancora: siamo sicuri che in un contesto già così confuso, si possano azzardare atmosfere crepuscolari alla Dark Knight Rises, che non fanno che sfumare ancora di più i contorni di un'identità filmica già in crisi?Domande destinate a rimanere inevase, perse nel rimbombo delle esplosioni che in qualche modo le coprono e le destituiscono di significato. Anche perché il grado zero della sceneggiatura non è meno caotico. Non è probabilmente possibile ripercorre i nessi causa-effetto che portano Tony Stark dal prologo svizzero, alla crisi di coppia, all’assurdo invito ad essere attaccato, al Tennessee innevato (Vagavo per i campi del Tennessee / Come vi ero arrivato chissà), al bambino amico/complice, alla resa dei conti col Presidente intrappolato nell’armatura di Iron Patriot, fino al pirotecnico omicidio/suicidio di massa in un finale che si vorrebbe epico e, di nuovo, in qualche modo nolaniano. Non è probabilmente possibile perché la sceneggiatura, strutturalmente non dissimile a quella di un vorticoso episodio dei Simpson, ha poco senso e molte falle (l’ipertecnologica magione Stark, per dire, non ha un banale sistema di monitoraggio radar che rilevi l’arrivo di normalissimi elicotteri? Ma è un esempio tra tanti). Fastidiosa è l’insistenza sui soliti “effetti”, come il montaggio delle armature “al volo” (alla Miva, lanciami i componenti!) o il loro essere, spesso, telecomandate all’insaputa di personaggi e spettatori.

Alla regia, Favreau è sostituito da Shane Black, reduce dei 90s tra molti “meriti” (le sceneggiature di Arma Letale) e tragici tonfi (quella di Last Action Hero), regista di Kiss Kiss Bang Bang (sempre con Downey Jr., anche lì lasciato libero di gigioneggiare) e comunque intenzionato a marc(hi)are questa sua rentrée di autoreferenzialità, come nei titoli di coda anni ’60 (da confrontare con quelli di testa del citato KKBB) o nella volontà di costruire una trama stratificata e multiforme.