Fantascienza, Horror, Recensione

IO SONO LEGGENDA

Titolo OriginaleI Am legend
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2007
Durata101'
Ispiratoliberamente all'omonimo romanzo di Richard Matheson
Fotografia
Montaggio
Scenografia

TRAMA

Dal romanzo omonimo di Richard Matheson (1954) da cui sono stati tratti i film “L’ultimo uomo sulla terra” (Ubaldo Ragona, 1964) e “The omega man” (“1975: Occhi bianchi sul pianeta terra”, Boris Sagal, 1971). Lo scienziato Robert Neville è l’unico sopravvissuto “sano” a un terribile virus che ha quasi sterminato l’intera umanità trasformando “gli altri” sopravvissuti in mostri-vampiri-zombi fotofobici…

RECENSIONI

Rispolverando una definizione pseudo-critica irrimediabilmente bolsa, si potrebbe etichettare I Am Legend come un film furbo nel senso, non necessariamente negativo, di prodotto assai scaltro e calcolato, a più o meno tutti i livelli. Da un punto di vista, diciamo, “ideativo-produttivo”, quello di Lawrence cavalca più ricorsi storici in voga nella Storia del Cinema recente: lo Zombie-Movie (Land of the Dead, Resident Evil, Planet Terror) il Catastrofico (L’Alba del giorno dopo), lo Zombie-Movie catastrofico (28 Giorni/Settimane dopo) e il ritorno alla fantascienza anni ’50 (La Guerra dei Mondi, Invasion). Da una prospettiva squisitamente realizzativa, Lawrence gioca bene le sue carte: azzecca le atmosfere iniziali da “ritorno alla natura” (la New York “savanizzata” - si era già visto qualcosa di concettualmente simile in Twelve Monkeys di Gilliam -) e ci illude di intraprendere percorsi generalmente estranei al mainstream hollywoodiano (ritmi meditabondi, il “film scommessa” retto sulle spalle di un solo attore) per poi tornare sui suoi passi con massicci interventi normalizzanti, ossia una ben congegnata dislocazione di flashback nei quali il film respira e lo spettatore si tranquillizza (storia chiarita per filo e per segno, numero congruo di interpreti, -“guarda, quella è la vera figlia di Will Smith!”-) e un’altrettanto studiata distribuzione di intermezzi puramente action che settino i ritmi su livelli socialmente accettabili (la corsa nel buio della canina, l’intrappolamento di Neville); il tutto condito da una regia sicuramente efficace ma sostanzialmente invisibile, che ripercorre scolasticamente tutti i loci del fanta-action-horror contemporaneo (macchina a mano, uso strategico del fuori campo, le “improvvisate”), strizza l’occhio ai videogiocatori (la sequenza in semisoggettiva con torcia-nel-buio, che può ricordare Silent Hill, Half Life 2, Resident Evil 4 e chissà quant’altro) e che si adagia placidamente su un armamentario effettistico fin troppo consolidato e in odore di fuori contesto (era tecnicamente opportuno rappresentare gli infetti umanoidi come le solite creature completamente generate al computer?). Ma l’ultima grande furbizia, I Am Legend se la gioca nel finale. Intanto si consuma fino in fondo il tradimento allo spirito della fonte: nel romanzo di Matheson, il Dottore ultimo uomo sulla terra e ammazza-vampiri diventava, per ironico rovesciamento, lui stesso “il diverso/vampiro”, scheggia impazzita e assassina in una società altrimenti compatta ed omogenea (che infatti lo condannava a morte), mentre Smith è l’eroe tout court che vuol semplicemente salvare il mondo dai mostri. Ma ci sta. La sostanziale fedeltà a un testo dalle implicazioni ambigue è un lusso che poteva permettersi Ubaldo Ragona in un B-Movie italiano del ’64, non certo una megaproduzione americana del 2007. Quello che, invece, non era esattamente preventivabile era una furbesca (si fa per dire) “presa di posizione” (si fa ancora per parlare) su un tema tanto attuale come quello dei rapporti tra Scienza e Fede al grido di “volemose bene”: lo Scienziato scopre finalmente il vaccino che potrebbe salvare l'umanità ma la cosa non servirebbe a nulla se Dio in persona (sic) non avesse detto alla Fedele che nel Vermont esiste una comunità di sopravissuti che potrà effettivamente utilizzare quel vaccino. La scienza, insomma, porti i tarallucci che al vino ci pensa l’Onnipotente.

Sotto le mentite spoglie dell’apologo morale, I Am Legend di Richard Matheson è una dolente celebrazione della solitudine, della sconfitta e dello spleen: il Robert Neville dello scrittore di Allendale è un superstite devastato dalla desolazione, un sopravvissuto deformato dal disprezzo (per gli altri, per sé, per la vita), una maschera sfigurata dalla disperazione. Sublime. I due adattamenti cinematografici ricavati dal romanzo restituiscono soltanto parzialmente l’atmosfera di attossicante amarezza che impregna l’inchiostro di Matheson: Ubaldo Ragona (o Sidney Salkow fa lo stesso) con L’ultimo uomo della terra (1963) si fa cantore della diversità, rappresentata dai tratti gloriosamente grotteschi di Vincent Price; mentre Boris Sagal militarizza bislaccamente la parabola del suo Omega Man decorandolo con i gradi del colonnello Heston in 1975: Occhi bianchi sul pianeta terra (1971). Due adattamenti (il primo infinitamente più riuscito del secondo) tutti giocati sul filo dell’allegoria politico-sociale. Io sono leggenda di Francis Lawrence arriva buon ultimo e, in un’ottica a suo modo importante, riazzera i parametri della tensione e resetta le coordinate dell’imperialismo. Immergendosi nella digrignante cupezza di Matheson, Lawrence, già autore del non disprezzabile Constantine, estrae perfettamente dalle pagine del romanzo l’angoscia attanagliante, le fitte di dolore e gli improvvisi magoni che assalgono il protagonista. Camera a mano, soggettive a raffica, rigorosa focalizzazione interna: rifondazione totale della minaccia. Ricondotta al grado zero, la tensione dilaga, l’oscurità incombe, la luce è motivo di sopravvivenza. I “cacciatori della notte” – graficamente simili alle creature del fuligginoso Silent Hill – assediano il fuori campo (ciò che non vediamo ma che sappiamo esistere), aggrediscono furiosamente e si scagliano fisicamente contro gli ostacoli, abbattendoli. Contagiati dalla diffusione aerea, sono tutti uguali e attaccano preferibilmente dall’alto: vi viene in mente qualcosa? Il colonnello Neville (il fenomenale Will Smith, aggiornamento politically correct dell’Heston di sagaliana memoria) presidia il suo point zero, centro esatto dell’universo. Scienziato e colonnello sono una cosa sola: è soltanto grazie al suo laboratorio-arsenale che può portare a termine l’ultima missione. Soccorso in extremis da un Dio rinnegato e, questo sì, misericordioso, si sacrifica esplosivamente in nome di una ritrovata filantropia. E tutto ciò, nella pur evidente pochezza dell’ultimo terzo di pellicola, è autentica, anacronistica scorrettezza. Ci piace. Nota a margine: Samantha I love you.