Commedia, Recensione

IO E ANNIE

TRAMA

La relazione fra il comico newyorchese Alvy Singer e la giovane provinciale Annie Hall.

RECENSIONI

Il cinema alleniano è epico: le parole e le musiche lo (de)strutturano e lo (de)limitano. Più che uno sguardo, occorre cercare una voce in grado di guidarci nei labirinti del testo cinematografico; talvolta è lo stesso autore-attore a ricoprire questo ruolo. Ma, nel caso di Io e Annie, WA si rivolge direttamente allo spettatore, sommando voce off e sguardo in camera. Siamo oltre la confessione al solito analista o a un invisibile e indeterminato intervistatore (Mariti e mogli): il discorso si rivolge al pubblico, è freneticamente proiettato al di fuori dello schermo. Il film si apre come si era chiuso Amore e guerra, con uno stand-up monologue che permette al personaggio di introdurre, più che la sua storia d’amore con Annie, la sua visione della realtà, decentrata (“non vorrei appartenere a nessun club che contasse fra i suoi membri uno come me”), instabile (“l’Universo si sta dilatando”), sospesa fra sogno, ricordo e illusione. Questa concezione dell’esistenza si riverbera nel film, che non è costruito – malgrado le apparenze – secondo una scansione temporale lineare, più o meno interrotta dai flashback, ma si sviluppa “liberamente”, cercando nel dialogo e nell’immagine le tracce del proprio percorso: ad esempio, quando Alvy rievoca i tempi della scuola, appaiono i professori, i compagni, che svelano quello che è loro accaduto negli anni, e da qui si passa a una trasmissione televisiva in cui il comico ammette di non sapere che fine abbiano fatto i suoi amici, poi, di nuovo sul tema dell’infanzia, ecco la madre impegnata a rimproverarlo della sua diffidenza nei confronti del mondo, una conversazione con l’amico Rob sul medesimo argomento…
Ma Alvy, nonostante sia il corpo narrante, non è il protagonista: al centro del film c’è Annie, eroina eponima (nella versione originale), la Donna per eccellenza dei film di Allen (bella, alta, irreprensibilmente wasp). Alvy gioca a fare il professor Higgins: le consiglia libri e terapia analitica, la incoraggia a studiare canto, è allo stesso tempo distaccato (si oppone all’idea di vivere insieme, giudica sarcasticamente l’interesse della ragazza per il rock) e geloso (“io non ti pedinavo, ti spiavo”). Annie, anziché perdersi nel soave teatro della crudeltà che Alvy tenta di costruire per lei, se ne va: a lui, Pigmalione al contrario, non resterà che sublimare il (ri)sentimento derivante dalla realtà in una commedia provvista di finale lieto. Tragicommedia scandita da opposizioni insuperabili (New York-Los Angeles, parola-pensiero, persino analista di lui-analista di lei e conseguente divisione dello schermo), Io e Annie è una suite di invenzioni, battute, comparsate fulminee e fulminanti, che danno vita a un (apparente) caos cui è difficile sottrarsi. Diane Keaton dona a Annie il proprio cognome “reale” (Hall, appunto) e una delle prove più convincenti della sua carriera, connotata da una vivacità isterica non ancora ridotta a mera moina.