TRAMA
Appena sceso dall’aereo, Ryosuke scopre che l’impronta di una scarpa è rimasta impressa sul cemento della pista, proprio nella città dove si era trasferito da bambino. Il curioso evento gli fa improvvisamente ricordare le strane circostanze che avevano accompagnato la costruzione dell’aereoporto, compreso il legame con Kohei, un monello del posto, e con la sognante Hiharu, ragazza sempre in attesa di rivedere l’UFO che anni prima partì con suo padre a bordo.
RECENSIONI
L’aereoporto dei desideri
La curiosa fiaba moderna del giapponese Isao Yukisada riprende a modo suo i canoni del racconto di formazione, attraverso il lungo e complesso flashback che racchiude i ricordi più insoliti del protagonista Ryosuke, piombato da bambino in un angolo remoto del Giappone rurale per la costruzione di un aeroporto (evento importante nella vita del padre ingegnere), osteggiata in realtà da gran parte della comunità locale. Il tono da “estate indimenticabile” si fonde alla perfezione con l’intrusione di elementi magici (c’è addirittura l’avvistamento di un UFO nell’aria…) e con momenti di comicità molto semplici, corporali, legati perlopiù agli scherzi e alle piccole avventure che il protagonista condivide con Kohei, un monello del luogo perennemente a caccia di guai.
Il leitmotiv del film coincide con il ripetersi di incontri tra il protagonista e personaggi sempre più strambi, lunatici, in un clima farsesco non esente però da struggenti malinconie. Il gioco regge molto bene nella prima parte, regalando persino qualche momento di poesia sul finale, ma mostra la corda nella durata eccessiva (ben 144 minuti!) di una pellicola che insiste troppo sulle digressioni, sulle gag ripetute fino allo sfinimento, creando a tratti una atmosfera piacevole e sfilacciando al contempo il racconto, che perde così un po’ di incisività.
Stefano Coccia