

_x000D_Stefano Scherini (Torino, 1971) divide la sua attività tra teatro, cinema e televisione. Ha lavorato con Guido Chiesa, Paolo Virzì, Gipi, Antonello Grimaldi, Francesca Archibugi, Carlo Lizzani.
_x000D_In questi giorni ha debuttato a teatro Iliade – Mito di ieri, guerra di oggi, di cui cura la regia.
Com’è avvenuto il contatto con Greenaway per Goltzius?
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È avvenuto nel modo più classico, attraverso la casting director italiana del film che ha contattato il mio agente. Greenaway cercava ancora diversi ruoli importanti per il suo film e non era soddisfatto degli attori che aveva visto fino ad allora. Trovava problemi a proporre un film con tanta nudità esposta e così fortemente critico nei confronti della religione cristiana. Così sono stato contattato dal mio agente mentre ero in vacanza in montagna d’estate, sono andato a Roma per un provino con Peter e lì lui mi ha esposto tutto il film proponendomi il ruolo di Johannes Cleaver. Mi ha fatto leggere una scena all’impronta del mio personaggio, mi ha chiesto se avevo capito bene di che cosa si trattasse e se avessi problemi con la religione. Gli ho risposto di no, che sarebbe stato un gran piacere recitare in un film così, diretto da lui, interpretando un tale personaggio e a quel punto Greenaway mi ha consegnato l’intera sceneggiatura, mi ha chiesto di leggerla in tre giorni e mi ha detto che, al terzo giorno, lui mi avrebbe contattato via Skype dall’Olanda per chiedermi che ne pensavo. Tre giorni dopo, di nuovo in montagna, ho sentito Peter e gli ho detto che trovavo la sua sceneggiatura straordinaria e che sarebbe stato un piacere recitare nel suo film. Mi ha risposto “Molto bene, ci vediamo fra tre giorni a Zagabria per le prove e inizio riprese!”. È andata così.
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Conoscevi già il suo cinema? Lo apprezzavi?
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Conoscevo molti suoi film, sì, alcuni avendoli amati tanto: Prospero’s books, I misteri del giardino di Compton House, Il cuoco il ladro sua moglie e l’amante, I racconti del cuscino, The Tulse Luper’s suitcases… Mi ha sempre colpito molto la sua capacità visionaria e la volontà di cercare una narrazione non lineare.
Il film è un complicato gioco di livelli rappresentativi che a tratti si incrociano, in cui realtà e finzione si mescolano di continuo: cosa hai pensato di un copione così complesso e stratificato?
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Ho pensato che fosse una straordinaria follia! Ed ero molto curioso di vedere come quella bellezza folle su carta si traducesse in riprese sul set e poi in un film, quanto Peter si permettesse quella libertà anche nella costruzione del film vero e non solo scritto. Ed era straordinario vederlo lavorare: faceva esattamente ciò che era scritto, ciò che voleva, infischiandosene di qualunque giudizio esterno o ragionamento opportunistico di mercato o distribuzione.
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Dunque sapevi già che avresti ricoperto il ruolo di Cleaver, il prete calvinista?
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Come ho detto prima, sì, mi è stato proposto subito da Peter, al primo incontro a Roma. Credo che Greenaway abbia le idee molto chiare sugli attori: li sceglie, com’è ovvio sempre, in base all’immagine di cui ha bisogno ma data la cura formale, pittorica direi, che mette nel suo cinema per lui è particolarmente vero. Quindi, partendo dall’immagine, ti incontra e se vai bene, se capisci il progetto, se lo accetti, ti sceglie con grande sicurezza.
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Che atmosfera si respira sul set di Greenaway?
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Straordinariamente bella ed easy. Credo venga dal fatto che lui gode di grande autorità e riconoscimento, oltre che se accetti un film di Greenaway sai chi è e che ti proporrà qualcosa di veramente insolito. O lo ami o lo odi e se accetti un personaggio principale vuol dire che lo ami. Quindi gli attori sono tutti molto disponibili e curiosi. Su Goltzius recitavamo tutti in inglese e lo usavamo anche come lingua comune fuori dal set, essendo di provenienze molto diverse: Italia, Germania, Francia, Olanda, Belgio, Croazia, Stati Uniti. Per raccontarti un aneddoto divertente che rende bene l’idea dello spirito sul set, io sono arrivato a Zagabria senza sapere chi fossero gli altri attori principali, non sapevo nessun nome. Appena giunto al quartier generale croato delle riprese, sono stato preso in consegna da un assistente di produzione che mi ha condotto alla prova costumi e trucco, poi a mangiare e infine, dopo pranzo, mi ha indicato una sala in cui, di lì a poco, sarebbe arrivato Peter per fare alcune prove di recitazione con tutto il cast protagonista, pregandomi di entrare e aspettare con gli altri. Appena entrato, ho cominciato a presentarmi agli altri attori e attrici e d’un tratto, voltandomi, vedo un uomo di un po’ più di 60 anni che mi viene incontro e mi dice “benvenuto”, abbracciandomi e chiedendomi quale personaggio io interpretassi nel film. Mentre ero ancora nel suo abbraccio, mi è venuto in mente che io quell’uomo lo conoscevo, la sua faccia mi diceva qualcosa… Di colpo mi sono sentito quasi mancare: stavo abbracciando Salieri, il premio Oscar Murray Abraham!
Di Greenaway maestro della messa in scena si è detto ampiamente. Mi premeva invece, una volta tanto, parlare di Greenaway direttore di attori. Mi pare che il tuo punto di vista, da interprete e regista teatrale possa essere molto prezioso in proposito.
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Direi che Peter si fida moltissimo degli attori che sceglie, ma è molto preciso sul set. Inoltre è molto rispettoso del lavoro degli attori, ci tiene che siano a loro agio, che la scena che si va a girare di lì a poco sia chiara per tutti, in modo che gli attori possano dare il loro massimo. Nel caso di Goltzius, poi, c’era il problema della nudità: in alcuni momenti, sul set c’erano più attori nudi che vestiti, spesso impegnati in scene di sesso che, come puoi immaginare, non sono mai “comode”, ci si sente esposti e osservati in un momento di grande intimità. Sul set ci sono un’infinità di persone, tecnici, reparto fotografia, luci, trucco, costumi, scenografia… non è semplice fare una scena d’amore e di sesso con una trentina o quarantina di persone attorno, un microfono ad asta sopra la testa, ecc. Per questo motivo Peter provava sempre prima queste scene con gli attori privatamente, ci riuniva tutti in una stanza senza altre persone della troupe e provavamo le scene con lui. E sempre ci chiedeva se fossi a nostro agio, se non ci creasse troppo imbarazzo quella nudità o quelle azioni, cambiandole all’occorrenza. Tiene molto all’armonia sul set e con gli attori. Inoltre è sempre disponibile per un confronto sulla sceneggiatura e sulle battute: se qualcosa ti sembra stonato, se credi possa essere meglio una parola o una frase invece di un’altra, ha sempre un momento per ascoltarti e decidere insieme a te il meglio. Davvero una grande lezione di rispetto e attenzione.
Leggendo la sceneggiatura ho riscontrato come, mai come in questo caso, tante scene siano state tagliate rispetto allo script. Mi riferisco soprattutto ad alcuni quadri teatrali, che la sceneggiatura prevedeva molto più lunghi e di intere parti dialogali non presenti nel montaggio finale. Mi incuriosiva sapere se quelle parti sono state girate e alla fine espunte per arrivare alla durata canonica delle due ore o se la decisione di non comprenderle era stata presa preventivamente.
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Dici bene, la sceneggiatura avrebbe comportato un film di almeno tre ore e mezza! Per quanto ho visto io, Peter procedeva tagliando lui stesso le scene che mano mano gli sembravano ridondanti. Ha sicuramente girato qualcosa in più di quello che ha montato ma per lo più ha tagliato prima di girare. Nel caso mio, di Johannes Cleaver, è presente nel film la quasi totalità delle scene girate nelle tre location del film, vale a dire Zagabria, Amsterdam e Bruxelles. Ha tagliato una piccolissima scena. Tieni anche conto che sul set Peter lavora con un premontaggio quasi istantaneo, ovviamente possibile grazie alle riprese in digitale, avendo così immediata verifica di ciò che ha, narrativamente parlando, e ciò che invece gli manca.
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Il lavoro di postproduzione di un film di Greenaway è gigantesco: quando hai visto il film finito cosa ne hai pensato?
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Che fosse straordinario e ancora superiore alle mie pur notevoli attese! Qualcosa avevo visto in anteprima ad Amsterdam, intendo prima della “prima” mondiale al festival di Roma, andando a doppiare un paio di mie piccole battute che erano sporcate da qualche eccessivo rumore di fondo, essendo il film tutto in presa diretta. Ma mai mi sarei aspettato un simile trionfo per gli occhi come quello che mi è apparso appunto a Roma, guardando il film nella sua interezza. Lo dico francamente, non so nemmeno se sia ancora cinema o non sfondi completamente la barriera della videoarte, si prende dei rischi pazzeschi, cammina sul filo sottilissimo che separa i due generi, a volte strabordando da una parte, a volte dall’altra. E poi ha un’ironia che trovo irresistibile, come Peter che ha grande sense of humour. È stata una splendida occasione di lavorare con un grande maestro, realizzando un film davvero bello e fuori dall’ordinario.
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