Benedetta Barzini è diventata una figura pubblica durante gli anni Sessanta. Indossatrice per grandi firme, Barzini è apparsa sulle copertine delle riviste di moda più prestigiose, fra cui Vogue e Vogue Italia, divenendo uno dei volti più riconoscibili dell’industria. Negli anni Settanta, ha lasciato l’ambiente e si è unita al movimento femminista, allo scopo di attirare l’attenzione del pubblico sullo status secondario delle donne e sul loro sfruttamento nella società italiana. A tutt’oggi Barzini continua ad occuparsi di questi temi come giornalista e accademica. Il film The Disappearance of My Mother, una biografia sui generis di Barzini diretta dal figlio Beniamino Barrese, è stata accolta caldamente dal pubblico dell’Hot Docs Canadian International Documentary Film Festival del 2019 (si veda la cartolina). Esaminando “il desiderio di scomparire” di Barzini, il documentario presenta un ritratto intimo della sua relazione con le immagini—sia autoprodotte che costruite dagli altri—da quando faceva la modella ad oggi. Nell’intervista qui sotto, Barzini offre ai nostri lettori la sua prospettiva su questo tema.
Un tema importante nel film The Disappearance of My Mother è quello della visibilità (che diventa anche iper-visibilità) e il suo contrario, l’invisibilità. Può parlare di questo tema su entrambi i livelli? Da un punto di vista personale, cosa pensa della visibilità/invisibilità alla luce del suo passato e presente come indossatrice, giornalista e accademica, cioè come figure pubblica polivalente, e come si sente adesso in relazione al suo “desiderio di scomparire” (di cui parla il film)?
BB: La visibile bellezza della modella da usare muta diventa l’invisibile ‘bellezza’ dell’anziana divenuta scrivente e parlante. Nulla è privo di opposti (es: bello/brutto “and so on”) — è chiaro che fisicamente appari quando insegni, quando accetti (forzatamente) di lasciare che tuo figlio ti scriva addosso la sua versione di te. Scomparire significa non essere rintracciabile (“something more” di quello che ha fatto Salinger) significa andare lontano senza lasciare tracce (cellulare-carta di credito ecc…) e studiare come farlo.
JLH: Da un punto di vista generale, cosa pensa della visibilità/invisibilità per quanto riguarda la società contemporanea e la crescente capacità della gente di rendersi visibili attraverso i social media e le immagini che ne risultano?
BB: È la solitudine (essere costretti ad avere un lavoro autonomo lavorando sempre e solo davanti al computer) è anche la paura di un’umanità sempre più aggressiva, a stabilire rapporti umani spesso usa e getta, tutto questo rende forzatamente le persone auto-centriche, narcise, egocentriche, auto-referenziate. Chiuse. È anche il sistema che ‘predica’ l’importanza di esprimersi attraverso gli indumenti, di rendersi ‘originali’ e solo così, visibili.
Dunque si è invisibili nel reale e molto esposti nei media tecnologici. Sublimati, non reali.
JLH: Un altro tema che vorrei discutere è quello delle immagini e i loro effetti sulla costruzione delle identità delle persone, in particolare il ruolo che svolge la moda. Quale fu l’immagine della “donna ideale” che l’industria della moda promosse quando Lei era una modella durante gli anni 60?
BB: L’immagine della donna ideale anni 60: era l’epoca della fine del prestigio assoluto dell’alta moda che aveva lo scopo di creare ‘sogno’ e lusso attraverso l’idea astratta di ‘eleganza’, ‘classe’, ‘chic’ — tutti termini basati sulla scia di una ricca borghesia in cerca di meritarsi l’ascesa all’aristocrazia.
JLH: Ci sono stati cambiamenti rispetto a questo ideale con l’ascesa del movimento femminista? Per esempio, pensa che l’industria si sia appropriata della retorica del movimento per servire i propri interessi (come nelle pubblicità)? Come vede la connessione tra immagine, femminilità e moda oggi?
BB: Sì, ci sono stati notevoli cambiamenti grazie all’arrivo della moda pronta, dello street style, del casual smantellando così l’altare dell’alta moda… In quanto al movimento delle donne, credo che abbia lasciato una indelebile scia di domande senza risposte e stia costruendo piano piano sempre più segnali di consapevolezza. È però evidente che si tratta di segnali alquanto invisibili…la pubblicità continua a trattare il corpo femminile come una bambola e le donne come geishe. Dunque le immagini sono provocanti e illustrano la donna come una cosa presente per compiacere al maschio. Mi domando quale sarebbe l’espressione della femminilità se venissero rimossi gli stereotipi che il sistema ripete come un mantra. Non so rispondere.
JLH: Per di più, nel film, ci sono alcune scene che La ritraggono mentre discute questo tema con i suoi studenti. Trova che gli studenti abbiano una consapevolezza della potenza che hanno le immagini?
BB: Chi vuole raccogliere un’osservazione, la raccoglie e l’elabora dal suo punto di vista. Di solito non sono tanti gli studenti che vogliono fare lo sforzo di attivare un pensiero proprio. No, è difficile avere piena consapevolezza di quanto le persone sono vittime passive delle immagini.
JLH: Come descriverebbe il suo ruolo nella moda oggi? Che tipo di messaggio vorrebbe trasmettere attraverso la sua partecipazione?
BB: Non c’è ruolo…è che se oggi vengo ‘usata’ nella moda non è possibile truccarmi troppo perciò trasmetto il messaggio di una vecchia e basta. Mi piace pensare di potere apparire normale.
JLH: Tornando al tema delle immagini e la costruzione di femminilità e la donna ideale, secondo lei, c’è uno specifico contesto italiano per questo tema? Per esempio, visto che mi interessa la storia della televisione italiana e le rappresentazioni delle donne nei media, mi viene subito in mente la privatizzazione della televisione, il ruolo di Berlusconi, e la sessualizzazione della donna.
BB: Non so se c’è uno specifico femminile italiano proiettato tramite l’iconografia. Pare evidente che la donna mediterranea è scura e se è bionda ha un volto meno ‘angelico’ delle anglo-sassoni.
Comunque le segnaletiche della donna “Western” sono le stesse ovunque. La femmina nel mondo esiste in quanto riflesso di quel che l’uomo vuole vedere in lei. E l’uomo vuole vedere le stesse cose “anywhere in the world.” Berlusconi è banalmente quel che ogni maschio sogna invidiando i ricchi che se lo possono permettere. Nulla, ma nulla cambierà finché le donne non avranno il coraggio (TUTTE) di smettere di obbedire alla legge del più forte, di chi ha dominato il mondo con le sue guerre e i suoi credi religiosi relegando il ruolo delle donne a perenni vittime.
Jessica L. Harris
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