TRAMA
Pierre, reporter di guerra ormai screditato, è costretto ad intervistare una starlette della televisione americana, Katya._x000D_
RECENSIONI
Theo Van Gogh, regista olandese assassinato nel 2004 da un fanatico religioso, aveva in programma il remake americano di tre suoi film low-budget imperniati sul tema dello scontro tra i due sessi. I produttori del regista sono riusciti a realizzare lintento (il progetto si intitola Triple Theo e coinvolge, oltre a Buscemi, altri due registi-attori, Stanley Tucci e John Turturro) imponendo il metodo lavorativo proprio del defunto regista (la sua troupe, capitanata dal direttore della fotografia Thomas Kist, tre camere digitali una per ogni attore e una per i totali -, simultaneità, rispetto della sequenza cronologica delle scene).
Interview è quindi un film in cui il regista accetta un procedimento, adegua lo stile alle direttive impartite dalla produzione e imbastisce per lo schermo una performance quasi teatrale (prove continue prima di un girato che è durato poco più di una settimana). Stanti queste caratteristiche tecniche e di realizzazione il film procede ad applicarle a un copione in cui il confronto tra i due personaggi (pretesto: lintervista del titolo) diventa faccia a faccia esplicito, schermaglia, duello secondo uno schema drammatico che trova proprio nel teatro contemporaneo il suo modello prediletto (Pinter, Mamet, Kane etc): gli atteggiamenti sono soppesati, le reazioni delluno si commisurano a quelle dellaltra parte, le colpe rimbalzano da un fronte allaltro, la parola impera su tutto (i fatti accadono nella misura in cui sono fatto oggetto di racconto: sono veri anche quando sono falsi poiché la loro enunciazione crea di fatto una condivisione di essi nel presente, e quel che conta in questo gioco al massacro è quello che succede hic et nunc). In un gioco perverso e al rialzo in cui bluffare è la chiave per chiudere la partita psicologica (lui è disposto a tutto per lo scoop, lei vuole neutralizzare questo intento e prendersi una rivincita, ma lo sapremo solo alla fine) e lerotismo è solo il paravento che serve a celare le reali intenzioni dei contendenti, i ruoli si invertono di continuo, i fronti si capovolgono, i toni passano (apparentemente, poiché tutto è in apparenza) dal professionale al personale, dal personale allintimo e ritorno. La contesa si chiuderà quando, esperiti ciascuno i propri tentativi, usate le proprie arti, ci sarà un vincitore e un perdente. Tutto si impernia sullagire esteriore dei personaggi e sui meccanismi che adottano per la comunicazione, la dinamica sovrasta lidea fino ad annullarla (che è poi il fondamento di quel teatro cui accennavo).
I presupposti sono quindi interessanti, quello che zoppica è il testo che non ha la pregnanza né la tensione dei modelli di riferimento (e in unopera in cui la scrittura è centro nevralgico non è cosa da poco); Buscemi, il cui cinema si è sempre espresso con risultati più che apprezzabili in ambiti più eclettici e con modalità meno ingessate, si muove un po impacciato nel reticolo tracciato dalla produzione e vi rimane evidentemente impigliato, il film dilatando i suoi motivi a dismisura, perdendo mordente progressivamente e sciogliendo i nodi primari con passaggi drammatici alquanto grossolani. Sul piano interpretativo, posto che il doppiaggio è ovviamente fuorviante, soprattutto la Miller sembra funzionare bene, a suo agio in una parte che sembra, peraltro, scritta apposta per lei.
