TRAMA
Un giovane psichiatra studia il caso di un antropologo che, dopo aver vissuto per due anni fra i gorilla, non proferisce parola ed ha reazioni violente.
RECENSIONI
Hannibal sotto analisi: ma chi psicanalizza chi? Si riuniscono lo sceneggiatore (Gerald DiPego) e il regista di Phenomenon, per appiattire nella retorica da filosofia New Age un soggetto molto intrigante, ispirato dal romanzo "Ishmel" di Daniel Quinn. È stata una leggerezza anche ingaggiare Anthony Hopkins: la sua presenza è tanto importante quanto scontata dopo Il Silenzio degli Innocenti. La mente lucida ed aggressiva del suo personaggio fa subito venire alla memoria Hannibal Lecter, con Cuba Gooding jr. al posto di Jodie Foster. Turteltaub non aveva bisogno di scimmiottare i meccanismi spettacolari di Qualcuno Volò sul Nido del Cuculo (l'elegia dei folli), L’Attimo Fuggente (quando i detenuti si "alzano" e strappano le carte) o Gorilla nella Nebbia: il racconto era ugualmente appassionante. Doveva imporsi con la produzione per non abusare dei robot/gorilla di Stan Winston, controfigure raffinate ma sempre "finte", falsanti l'ottima prova di Hopkins, davvero in empatia con il proprio carattere, oltre che con le scimmie. La casa di produzione "Touchstone pictures" (leggi: Disney) deve aver messo lo zampino anche negli stucchevoli occhi dolci del cucciolo dei primati. Fatta la tara anche dell'eccesso di patetismo nel finale, certo rammaricati per una grande occasione (un grande film) buttata via, non resta che amare "istintivamente" l'ottima prova degli interpreti e questo insolito pamphlet che oppone il mito del buon selvaggio alla barbara civilizzazione, l'estasi della perdita del controllo su se stessi alla filosofia dei "Prendi", vale a dire tutti noi che abbiamo smesso di fare parte del mondo nel momento in cui abbiamo deciso di "prendercelo". Il personaggio interpretato da Hopkins si staglia magnifico e terrificante come un gorilla, fa correre dei brividi sia quando proferisce la prima parola sia quando si appella alla "legge del più forte", per difendere il proprio territorio. Il suo dolore, fra commozione e rabbia, lo salva e consacra il suo "peccato".