TRAMA
Elise Rainier a malincuore accetta di utilizzare la sua abilità per contattare i morti allo scopo di aiutare una adolescente che è stata presa di mira da una pericolosa entità soprannaturale.
RECENSIONI
Wan passa la cinepresa al compare Whannell, che cura la regia di questo terzo Insidious. La parabola dei due è curiosa: prima sdoganatori del torture porn in salsa mainstream (Saw), quindi alfieri del recupero classico di un certo horror infestato dai cliché, sia registici che tematici, nonché castissimo dal punto di vista della violenza mostrata: case infestate, possessioni demoniache, sedute spiritiche e porte che scricchiolano, con buona vecchia procrastinazione dello spavento e improvvisa sparata audio a farla da padrona.
E’ soprattutto su quest’ultimo tic horror che Whannell focalizza la propria attenzione di director esordiente. Saranno almeno una decina i momenti in cui l’inquadratura fissa o il lentissimo movimento di macchina vanno a braccetto col silenzio, in attesa che qualcosa irrompa nel quadro e che i timpani dello spettatore vengano messi alla prova. Il refrain si ripete soprattutto nella seconda parte del film, perché nella prima metà, più verbosa e preparatoria, gli espedienti movimentati sono altrettanto risaputi ma più raffinati. Si veda il primo dialogo tra la medium Elise e Quinn, in cui la sintassi si prosciuga riducendosi al campo/controcampo e la macchina da presa stringe impercettibilmente sui volti degli attori.
Il tutto, se si sta al gioco, funziona. Ma c’è da dire che James Wan, specie nel primo capitolo, si era mostrato più fantasioso e creativo, invitando all’analisi di un profilmico solo apparentemente ordinario e confezionando sequenze finanche originali, pur nella classicità dell’impianto. Anche da un punto di vista tematico, non ci siamo spostati di una virgola; la natura di prequel permette di recuperare il personaggio di Elise ma la solfa rimane la solita: uno spettrale villain tormenta/possiede i vivi, che devono avventurarsi nell’altrove per risolvere la questione. Punto. Scarse o scarsissime le motivazioni e/o spiegazioni (chi è “l’uomo che non respira”? Cosa vuole? Perché?), immancabili ma più forzati che in passato gli incastri con gli altri capitoli (i primi due dialogavano in modo molto più intelligente ed efficace), onnipresente quanto non facilmente localizzabile un’ironia strisciante al secondo grado, che viene allo scoperto solo con la consueta entrata in scena degli scalcinati ghostbusters Tucker (Sampson) e Specs (lo stesso Whannell).
SPOILR: parlando di sottotesti ironici, il finale tende addirittura all’autoparodia: la sorpresa col botto del SimilDarthMaul, cattivone del primo Insidious, è pretestuosa fino al gratuito, e trova l’unica ragion d’essere in una maldestra dichiarazione di compattezza trilogica e/o firma pseudoautoriale. Ma per ridere. (Si spera).
