Drammatico, Sala

INFANZIA CLANDESTINA

Titolo OriginaleInfancia clandestina
NazioneArgentina/Spagna/Brasile
Anno Produzione2011
Durata112'
Montaggio
Scenografia

TRAMA

Argentina 1979. Il dodicenne Juan rientra nel paese con i genitori, membri della resistenza peronista ricercati dalla giunta militare: inizia la sua vita sotto falso nome.

RECENSIONI

Presentato alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes 2012, Infanzia clandestina muove da una traccia autobiografica: la madre del regista, a cui è dedicato il film, fu arrestata dal regime e scomparve nel 1979. Benjamín Ávila trasfigura i ricordi d’infanzia per ricostruire questa dittatura dallo sguardo di un bambino. Juan diventa Ernesto, cambia identità per sopravvivere e problematizza il nodo della militanza: l’adesione alla causa dei genitori, ai suoi occhi, suona miope ed egoista nel momento in cui soffoca la giovinezza del figlio, negando radici stabili, trasportandolo di luogo in luogo, esponendolo sempre al rischio. C’è una falsa vita, c’è un finto compleanno, non si può amare una ragazza: malgrado si rifiuti di alzare la bandiera tradita, il figlio inquadra gradualmente “in negativo” l’impegno politico dei genitori.
L’autore reinstalla in Argentina la cinematografia recente sulle dittature sudamericane, come la trilogia di Larraìn (Cile) o L’anno in cui i miei genitori andarono in vacanza (Brasile), ma il modello dichiarato è Papà è in viaggio d’affari di Kusturica sui dissidenti nella Jugoslavia comunista. Da una resistenza all’altra, sembra dirci, la sostanza non cambia. Alternando una narrazione canonica a squarci più rarefatti (tra cui innesti animati, trascurabili, nei momenti chiave), la storia procede spesso per dialoghi dimostrativi a puntualizzare i contrasti dei caratteri (la lite tra fratelli sulla gestione della clandestinità) e metafore anche scontate (le noccioline al cioccolato come le donne), segue sostanzialmente uno schema a tappe, un percorso orizzontale che va dal ritorno a casa della famiglia fino alla tragedia.

A illuminare il canovaccio è però una corrispondenza fra “sogni”: il sogno di resistenza di Daniel/Charo e  il sogno d’amore di Juan. Il miraggio di sconfiggere il regime e l’ipotesi di una relazione con Maria, compagna di scuola, scorrono paralleli ed utopici entrambi, provocando la fertile collisione tra due generi: il film sulla rivoluzione contro il coming of age bagnato nel primo amore. L’Idea dei genitori come l’Amore del figlio, dunque, due speranze perdute dirette verso il fallimento.
Film debito, solido cinema evidente percorso da echi inquieti, all’ombra dei desaparecidos, Infanzia clandestina è imperniato su un dilemma onnipresente: per combattere un regime si può soffocare un’infanzia? Sulla domanda complessa, sull’impalpabilità del dubbio si innesta tutta la pellicola, giocata principalmente su una dialettica non riconciliata tra l’occhio di Juan e i dialoghi dei genitori: l’adolescenza che si dibatte contro il rigore politico che la soffoca. I riti dei grandi sono smascherati in una sequenza centrale: la ripresa onirica del funerale dei bambini, che ripetono la liturgia rivoluzionaria degli adulti mettendola in dubbio, isolandone il volto ridicolo e paradossale. A chi spetta l’ultima parola? Nel finale Juan non è più Ernesto ma scandisce il suo nome vero, a preconizzare l’inizio di una nuova vita, finalmente “normale”, riappropriandosi di sé lontano da lacrime e pistole.