Commedia, Sala

INDOVINA CHI VIENE A NATALE?

TRAMA

La composita famiglia Sereni si riunisce per Natale; la morte del patriarca e alcune crisi, incomprensioni e pregiudizi saranno superati grazie alla paziente operosità dei buoni.

RECENSIONI

Il titolo richiama un film - allora (1967) assai popolare - di Stanley Kramer; edificante parabola civile che si giovava d’una tremula Katharine Hepburn e della burbera e alcolica energia d’uno Spencer Tracy in limine mortis. Quest’ ingenua civetteria non è puramente testuale (peraltro fedele alla sgrammaticatura presente nella traduzione italiana del titolo originale) ma altresì tematica: in entrambi i casi, facoltosi coniugi di idee e pratiche progressiste sono costretti di fronte ai propri pregiudizi, e devono mettere alla prova i dichiarati princìpi di uguaglianza e inclusione a cui hanno educato la figlia; è la ragazza a innescare il gioco della verità, fidanzandosi con un giovanotto privo degli arti superiori (non più un affermato medico di colore, come nel film americano).

Guess Who's coming to Dinner evidenziava limiti cospicui, tanto ideologici quanto formali: paternalismo, familismo, sentimentalismo, verbosità, monotonia dinamica, strumentalità della mdp al protagonismo attoriale, struttura instancabilmente paratattica.
Contro ogni concezione evolutiva del codice cinematografico, il tempo - nonostante numerosi aggiornamenti tematici e linguistici - sembra passato invano. La variante cinepanettonica ideata da Brizzi e dai suoi sceneggiatori per il pubblico italiano del 2013 è orientata a imprimere un certo ritmo alla vicenda riempiendola di personaggi; anzi di volti, ripresi a distanza ravvicinata nelle rispettive espressioni ora commosse ora rabbiose ora deformate in esagerate smorfie di sorpresa, disgusto, desiderio. L'attore viene ridotto a maschera subitaneamente ed elementarmente espressiva, come caricato a molla per far scattare - al momento opportuno - l'occhio sgranato e la mandibola spalancata o, al contrario, la palpebra serrata e la mascella digrignante.

Il nucleo centrale della vicenda viene arricchito - si fa per dire - da storie che si intrecciano alla principale: la bellona (una Gerini felicemente sovrappeso) divisa fra morale famigliare e passione erotica per i delinquenti, il meridionale figlio della colpa in cerca di riconoscimento (la figura più bistrattata dal film, un autentico obbrobrio), il maestro elementare placido e benevolo (Bisio conosce il mestiere, come suol dirsi) messo alla corda da pestiferi bambini. In tale ultimo segmento si ritrovano forse, nel loro fanciullesco candore, gli sketch più divertenti; mentre i siparietti con Abatantuono e Finocchiaro stupefatti genitori risultano, nonostante l'impegno profuso da quei validi professionisti, indigesti per eccesso d'espressione e insipidi (ripetitivi e vuoti di idee) a un tempo. Senza il coraggio di un autentico politically incorrect e la lucidità d'una visione etica del dramma rappresentato, la diretta crudezza di Quasi amici è un miraggio inattingibile.
Coerentemente, la morale impartita è banale e subdola: poiché, oltre le incomprensioni e le gelosie, ci vogliamo bene, ci scopriamo pronti a operare per il bene. La dimensione sociale non vive nelle biografie ma viene azzerata in esse, l'happy end è di tale zuccherosa pasta da consolare perfino il lutto più doloroso con un'illusoria e ridanciana comunicazione postuma: versione ottusa e ipertecnologica, appropriata al nostro tempo selvaggio, delle antiche e perturbanti presenze spettrali.