Drammatico, Recensione

INDIRIZZO SCONOSCIUTO

Titolo OriginaleSuchwiin bulmyeong
NazioneCorea del Sud
Anno Produzione2001
Durata119'
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Scenografia

TRAMA

Corea del Sud 1970. Intorno ad una base militare americana si intrecciano diverse storie: una studentessa guercia, il figlio illegittimo di un soldato americano, sua madre che vive su un autobus, un militare, un uccisore di cani.

RECENSIONI

La guerra è ovunque: il regista pudicamente non la mostra ma decide di restituirla attraverso la metafora dello sguardo. L’occhio occupa un posto centrale; dalla prima scena (due fratellini giocano alla guerra, costruendo una pistola con il cartello americano Danger!) all’assenza di vista nella vicenda di Eun-ok, attraverso snodi periferici come le pupille spaurite dei cani (Devi guardarli negli occhi, sostiene il loro aguzzino). Il film parla di uno sguardo ghiaccio, vicino nello spazio ma lontano nell’animo, che non si traduce mai in  collaborazione tra occupanti ed occupati: impossibile la coesistenza dove ognuno divora l’esistenza altrui (il ritorno infinito al mittente è trovata fin troppo paradigmatica in questo senso), la trincea rende folli, la guarigione è solo effimera. In versione smaccatamente pacifista (Perché non torniamo a casa nostra?, si chiede il militare) Kim Ki-Duk sceglie la cifra corale per declinare l’assurdità del conflitto: un’uscita bersagliata di critiche, che piantano radici nei dialoghi stranamente espliciti (il confronto madre/figlio), nell’eccesso schematico (l’affresco speculare del militare yankee ed il reduce dalla guerra di Corea), nell’uso discutibile dell’evidenziatore (i libri di scuola in inglese, la scritta Us Airforce sul lato del bus). Tuttavia lo spaccato di tragedia collettiva (letterale: vedi i molteplici finali) conserva il prezioso dono del grottesco (la morte del canicida come crudele contrappasso), non si cura troppo del politicamente corretto – una didascalia iniziale avverte che nessun animale è stato maltrattato -, finisce bellamente per parare dove vuole: il disegno di un’epoca quasi post-atomica, che contiene in sé una deformità fisico/spirituale (l’erotismo canino di Eun-ok) perpetrata in generazioni, venata da follia generale (il tiro con l’arco) ed impreziosita da rara signorilità narrativa – alfine la lettera è giunta ma cala la nebbia sul contenuto. Tutt’altro che una prova transitoria.