Avventura

INDIANA JONES E IL TEMPIO MALEDETTO

Titolo OriginaleIndiana Jones and the Temple of Doom
NazioneU.S.A.
Anno Produzione1984
Genere
Durata118'

TRAMA

1935, Shangai. L’archeologo “Indiana” Jones dopo una fuga frenetica finisce in un povero villaggio indiano, sulle montagne, dove una setta schiavizza bambini in miniera e pratica sacrifizi umani.

RECENSIONI

Le piaghe sifilitiche del cinema archeologico di Spielberg si manifestano ben presto in questo secondo episodio delle avventure dell'archeologo aitante e bambino Henry "Indiana" Jones.
La storia, come al solito di George Lucas, sceneggiata da Willard Huyck, per una scarsa metà macina e tritura in un moto che ha nella stasi il timore più nero dell'assenza di spettacolo: vertigine che si smorza mostrando la sua stessa tessitura in un proseguo latitante, inconsistente, preda dello spielberghismo più smanioso. Sia ben chiaro, la medietà del prodotto è lampante, non siamo dalle parti delle virulente allergenicità di E.T. o Schindler's List, quanto preme far notare, in breve, è il tasso di indecorosa morte creativa che soggiace in questo piccolo giocattolo: creare presupposti al divertimento riaggregando microstrutture altrove funzionali.
Il viaggio rocambolesco (e qui già ci siamo), la commedia anni '30, il battibecco tra le parti maschile e femminile, l'ingenuità del protagonista, il bambino aiutante spiritoso e quasi scimmiesco, il fascino dell'esotico, il sentimentalismo dello sfruttamento dei bambini (anche questo è sfruttamento ma it's entertainment), l'avventura in ambienti polverosi-e-umidi-e-pieni-di-scarafaggi: calibrate le quantità, curata la confezione (alcuni pregevoli effetti speciali, l'espianto di cuore merita una citazione), fornite piccole certezze all'acquirente, cosa rimane dell'omogeneizzato? Il solo momento del comodo pasto.
Non stiamo di certo mettendo all'indice questa prassi, deleteria in effetti se diventa, come è divenuta, una tendenza, ma semplicemente puntare un poco d'attenzione, proprio l'attività che vorrebbe rifuggire "Indiana Jones and the Temple of Doom", nato da scampoli ritagliati dal primo capitolo (per il 2003 si attende il quarto), sulla pochezza di un cinema che vive o pretende d'essere vivo per il solo fatto di riproporsi in levigato abito da cocktail.
Grandiosità flatulenziale a tutti gli effetti; artigianato? la sua dissimulazione piuttosto, a velare l'inconsistenza di un'azione che si prosciuga totalmente nell'esteriorità e nella certezza dell'affermazione festiva.
Un prodotto da banco; un insaccato vicino alla mortadella e la mortadella la fanno i ciechi. Tutti la mangiamo, magari si ripropone.