TRAMA
Tratto dal libro di Alexander Stille Nella terra degli infedeli, il documentario di Marco Turco ripercorre la storia dei rapporti tra mafia e politica negli ultimi trent’anni.
RECENSIONI
Nei fatti di sangue, specialmente quando si tratta di delitti efferati o feroci attentati, risiede spesso una sottile combinazione di trasparenza e opacità. Gli eventi sembrano parlare da soli, a lettere di fuoco, aggredendo e colpendo non soltanto le vittime ma anche gli spettatori: la violenza che li caratterizza sembra produrre un senso evidente, inequivocabile, addirittura ovvio. Eppure, a ben vedere, questi stessi eventi presentano superfici nebulose, addensamenti illeggibili, sacche di indecifrabilità. Soprattutto se nella loro componente comunicativa non si rivolgono ad una collettività indistinta, ma individuano un insieme più ristretto di destinatari in possesso del codice interpretativo appropriato. Ebbene, in Italia dal secondo dopoguerra ad oggi questo codice si è identificato spesso con quello mafioso: un codice ambiguo, complesso, spesso sfuggente. “La Mafia parla indirettamente, attraverso gesti, azioni” sentenzia in apertura di documentario la voce narrante di Fabrizio Gifuni, che scandisce con esemplare asciuttezza le parole di Alexander Stille, autore di Excellent Cadavers: The Mafia and the Death of the First Italian Republic (tradotto in italiano da Mondadori nel 1995 col titolo Nella terra degli infedeli). Giornalista e scrittore americano particolarmente interessato alla realtà siciliana a partire dal 1986, nel corso degli anni Stille è riuscito a tracciare i lineamenti di questo codice fatto di ferocia criminale e interessi politici, campagne di sterminio e campagne elettorali, tradizione e corruzione. E ci è riuscito nel modo più lucido e coraggioso possibile: scegliendo la Morte – “l’unica verità indiscutibile” - come chiave di lettura della Mafia e dei suoi rapporti col potere politico. In un altro paese è dunque l’adattamento cinematografico del libro di Stille, sceneggiato dallo stesso scrittore insieme a Vania Del Borgo e a Marco Turco, ma sostanziosamente arricchito dalle crude e dolorose fotografie di Letizia Battaglia, “la memoria fotografica delle guerre di mafia degli ultimi 30 anni”.
Sviluppando le ferree argomentazioni di Stille, Marco Turco fa parlare direttamente i protagonisti della guerra alla mafia: i magistrati Giuseppe Di Lello, Francesco Lo Voi, Leonardo Guarnotta, Giuseppe Ayala, Antonio Ingoia e Ignazio De Francisci e il giornalista Francesco La Licata sfilano davanti all’obiettivo, portando testimonianze concrete, riferendo particolari illuminanti, rendendo noti episodi sconvolgenti. Ne emerge un quadro straordinariamente complesso ma mai cincischiato o caotico: è il ritratto della realtà mafiosa dalla fine della seconda guerra mondiale ai giorni nostri. Con impressionante rigore e implacabile determinazione, il documentario ricostruisce la trama dei rapporti tra criminalità e politica, colmando almeno in parte la lacuna lasciata aperta dalle inchieste del maxi processo di Palermo (febbraio 1986 - 31 gennaio 1992). Già, perché In un altro paese fa quello che, per esigenze processuali, i magistrati non hanno potuto fare: indica con precisione i responsabili politici dello strapotere mafioso (“Martelli, Craxi, Andreotti erano i nemici di quella parte della Sicilia politica che voleva combattere la mafia”, dice apertamente Giuseppe Di Lello, istruttore del primo pool antimafia), dipanando una volta per tutte l’intricata matassa delle profonde collusioni tra Stato e Cosa Nostra (“La mafia è una componente organica del sistema di potere italiano” è l’annichilente dichiarazione di Ayala). Prima la Democrazia Cristiana con l’asse Lima-Andreotti, poi il Partito Socialista con il binomio Craxi-Martelli, infine Forza Italia nel duo Berlusconi-Dell’Utri: “La Sicilia, che nel passato era stata solidamente democristiana, nelle elezioni del 2001 consegnò alla coalizione di Berlusconi tutti e 61 i suoi seggi parlamentari. Imputato in vari processi per corruzione, Berlusconi mise al centro del suo programma la necessità di porre un freno a quello che definiva ‘l’eccessivo potere dei giudici inquirenti’”. Asciutto, lapidario, inesorabile, In un altro paese è un documentario semplicemente straordinario: immagini che arrivano dritte allo stomaco, al cuore, alla testa. Quando il labirinto si trasforma in affresco. Necessario. Necessario. Necessario.