TRAMA
Diario del regista che, accompagnato dalla famiglia giunge in Paraguay per prendere in adozione la piccola Mariah.
RECENSIONI
Il Paraguay diventa terra di riflessione, sospende per un breve istante la dimenticanza del non-luogo immergendosi nella purezza di uno sguardo sfoltito da qualsiasi prerogativa ideologica. Il tutto mediante tonalità che sembrano sussurrare, che ritagliano il proprio spazio vitale senza addensarsi in speculazioni didascaliche. La grandezza di Mcelwee sta nel mantenere intatto il respiro di un mondo dimenticato, seguendolo con lo stupore di un bambino (il figlio Adrian oltre che spalla, racchiude l’innocenza incontaminata del padre) e miscelando la dialettica docu-fiction in modo che le due parti si trovino nell’assoluta complementarietà. Il confine tra le due tipologie di rappresentazione si trasforma così in un’affascinante chimera, ove la sfera familiare funge da specchio all’ambiente esterno, interiorizzandolo. Il segreto, è la capacità di esplorare ma allo stesso tempo di aspettare con delicata ammirazione il manifestarsi dello spirito del luogo. Rimane ancora impressa la splendida sequenza del motorino spento davanti alla porta di un’abitazione che, come un piccolo miracolo, viene improvvisamente acceso (sembra di palpare l’empatica contemplazione deistica di Grizzly Man, sebbene l’approccio di Herzog fosse piu’ re-interpretativo).
La melanconia di una terra accompagnata dal nostalgico arpeggio di Agustin Barrios può avere, in quest’opera d’amore, un indice di riconoscimento: la piccola Mariah ne è il barlume di luce.
