Documentario, Recensione

IN JACKSON HEIGHTS

Titolo OriginaleIn Jackson Heights
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2015
Durata190'
Fotografia

TRAMA

Jackson Heights, Queens, New York City: una delle comunità più multietniche degli Stati Uniti e del mondo, che riflette la geografia di provenienza dell’ultima ondata migratoria. Qui si parlano 167 lingue diverse. Cittadini americani, titolari di green card, immigrati clandestini. Gente che proviene da ogni paese del Sud America, da Messico, Bangladesh, Pakistan, Afghanistan, India, Tailandia, Nepal e Cina che si mescola con gli immigrati di ennesima generazione, italiani, ebrei, irlandesi. Lo sguardo di Wiseman li osserva nella loro vita quotidiana, tra negozi, lavanderie automatiche, bar, centri commerciali, centri culturali e religiosi.

RECENSIONI

La formula è sempre quella che Wiseman applica dal 1967 a oggi, così come non risultano immutati il rigore estremo, la purezza del suo sguardo e la sua capacità di rendersi invisibile, di non influenzare la realtà, il comportamento dei personaggi, con la sola presenza della macchina da presa. Wiseman non sarà mai pervasivo, non farà mai lavori a tesi, non rinuncerà alla sua fine capacità analitica.
120 ore di girato, 9 mesi di riprese, 10 mesi di montaggio. Il modo di porsi di Wiseman, il suo ascetismo di regista, il suo rifiutare ogni forma di compromesso con un tipo di lavoro considerato fuori mercato: tutto ciò è riassumibile in questi numeri, per questo suo ultimo film. Il regista non ha idee preconcette, non sa cosa raccoglierà, non sa in anticipo dove questo lavoro lo porterà a parare, non sa quale potrà essere la forma finale della sua opera.
E la filmografia di Wiseman sembra riflettere dei blocchi, un alternarsi di tipologie diverse così come, ultimamente un continuo saltare tra Stati Uniti ed Europa. Con In Jackson Heights siamo negli Stati Uniti, ma siamo nel mondo, o in un suo concentrato, di etnie, di lingue, culture e religioni, come può esserlo il parco tematico di The World - Shijie di Jia Zhangke. La filmografia di Wiseman è uno schema ripetitivo, ma ogni film sembra alimentarsi, portare avanti discorsi, dai film precedenti. Ci sono i titoli sullo spettacolo, che tornano in In Jackson Heights nelle scuole di danza del ventre. Ci sono i film che ci catapultano in ambienti come quello universitario di At Berkley, multiculturale come quello di Jackson Heights. Wiseman coglie e riesce a mettere a nudo, in ogni posto che è oggetto del suo lavoro, i meccanismi che regolano il suo funzionamento, di solito rivolto a istituzioni, enti, organizzazioni. In questa sua ultima opera, il regista allarga il suo campo d’azione da un palazzo a un intero rione, a una grande comunità. I meccanismi sono sempre enucleati, ma sono tanti e cambiano da un’etnia all’altra, così come quelli che si creano nei processi di integrazione reciproca, pur parziale. Ancora non è la prima volta che Wiseman svolge un compito del genere, nelle continue reiterazioni dell’oggetto del suo cinema. Lo ha già fatto con Belfast, Maine e Aspen.Quello che coglie il grande documentarista non è una convivenza pacifica, semmai una coesistenza tra le varie comunità che si ignorano reciprocamente e vanno avanti a condurre le proprie attività nel totale disinteresse in merito ai propri vicini. Non deve quindi stupire se le associazioni LGTB manifestino a due passi dai centri islamici. Quello che emerge è la tolleranza reciproca delle varie comunità che compongono la macrocomunità di Jackson Heights. E ci sono comunque assemblee, momenti di aggregazione, aiuti tra migranti, riunioni di nonne, assemblee sindacali di categorie come i tassisti, i meeting di vari gruppi.
Non un inno al melting pot quindi, totalmente fuori dalle corde di Wiseman così come una denuncia di un eventuale degrado. Wiseman sa cogliere la complessità dei fenomeni, senza mai semplificarli o ridurli a schemi.
Eppure i nodi vengono al pettine e nella lunga ricognizione di Wiseman emergono, come sempre, attriti, contrasti, conflitti. Che non sono interetnici ma riguardano il contrasto alla lunga mano degli immobiliaristi sul quartiere, che vorrebbero, tramite stratagemmi e sotterfugi, impossessarsi a basso prezzo degli edifici per trasformare una zona popolare in una residenziale e chic. La popolazione fa fronte comune rispetto a questa ventilata minaccia, riunendosi in assemblee, e trovando così la coesione della comunità in stato di necessità. Il conflitto tra ritagliarsi in una nicchia mantenendo le proprie tradizioni e l’aderire all’american way of life si scioglie di fronte a questa resistenza, in definitiva, contro l’omologazione dei luoghi. Ma ancora Wiseman non fa un film di denuncia sui fenomeni di gentrification. Si limita a osservare il movimento, il fermento della popolazione. Non sappiamo, e il dubbio rimane, se le assemblee siano condotte da reali attivisti o da imbonitori complottasti e dietrologi. Non lo sappiamo e Wiseman non fa nulla per dircelo, lontano anni luce com’è da ogni forma di didascalismo.