TRAMA
Capovendite di un settimanale di successo, con una moglie incinta e una figlia ammessa alla New York University, Dan Foreman ha una vita felice e gratificante: finché un giorno viene sostituito da un giovane rampante senza esperienza…
RECENSIONI
La consolazione sociale è una componente centrale nella costruzione della commedia, sia essa portata al versante economico, culturale, sessuale. Da 'Accadde una Notte' a 'Scandalo a Filadelfia' a 'Poveri ma belli' si può tracciare un percorso piuttosto chiaro su quella che siamo tentati di chiamare funzione pragmatica di questo macro-genere. Non fa eccezione 'In Good Company' che s'infila lesto in questo schemino a cui è forse possibile fornire ulteriore riferimento con la produzione di film sulla nevrosi metropolitana ed il lavoro (Baby Boom, molto Allen -parlandone da vivo, Labute etc). I fratelli Weitz dopo il fortunato American Pie hanno operato una correzione al loro registro narrativo (non alle modalità che, si badi, sono sempre e comunque da commedia) e 'About a Boy' era parso, a noi almeno, un tentativo di portare a compimento ambizioni superiori, sulla cui scorta anche quest'ultimo, non disprezzabile film.
'In Good Company' si compone, quanto alla trama, di due livelli, uno ambientato negli uffici, tra parole d'ordine da multinazionale (vision, mission, e blabla-ando) ed un secondo piano che è quello delle vite private degli uomini negli uffici, nello specifico Dennis Quaide e Topher Grace ('This 70's show'). L'intrecciarsi di questi due piani causerà la contrazione di questo piccolo e tristo universo segnando l'evolversi dei personaggi quanto della storia, anche se, a ben vedere, il Weiz alla penna lega il precipitare tramico a scelte che provengono da un piano diverso quasi-divino: il gran magnate vaticinante interpretato da Malcolm McDowell che non ha contatto con l'umanità.
L'abilità dei Weiz è artigianale: sistemare le 'cose' al punto giusto, quindi le sequenze meditative o descrittive con accompagnamento musicale, l'ampio montaggio alternato a mostrare due differenti stili di vita, le scene ad effetto comico, la direzione d'attori. Questo esattamente come in qualunque altro prodotto (hollywoodiano) ma in modo così trasparente che alcuni anni fa si sarebbe detto telvisivo, tutto teso ad un solo obiettivo che pare essere la consolazione. Di una generazione di manager bambini costretti in assenza di libero pensiero da parole d'ordine e azioni obbligate, viene a galla il solito sciapo messaggio che non si ha la decenza di lasciar scorrere tra i non detti: tutto quanto viene verbalizzato, ribadito, solo alla fine mostrato.
Tutte le sfumature vengono annullate e si prepara una nuova polarizzazione, Frank Capra, campione della consolazione sociale d'altri tempi (abbastanza bui), aveva ben altra visione 'in profondità', ora la commedia è solo quel poco di zucchero che fa andare giù la pillola dell'ineluttabile.