TRAMA
Non farò, in questo film, nessuna concessione al pubblico.
RECENSIONI
Il cinema di Guy Debord è un cinema della lacerazione. Non nel senso che mostra la lacerazione come evento, ma perché contiene in sé i principi della lacerazione: l'acutezza, la compattezza, la velocità, la traiettoria. Come un proiettile rapidissimo lanciato sulla superficie del cinema, la spacca in mille pezzi, ne fa volare via le schegge, la frantuma come acciaio che impatta su cristallo. Una biglia durissima che trafigge, sgretolandolo, lo specchio ghiacciato dello schermo. Da Hurlements en faveur de Sade (1952) a In girum imus nocte et consumimur igni (1978), il cinema di Debord 'fa massa' e si concentra su se stesso per esplodere serenamente in faccia allo spettatore. Un'iconoclastia totale: teorica e ludica, olimpica e categorica, crudele e patetica. Distruggere le immagini come prodotto della separazione dalla realtà, distruggere l'ideologia come relazione immaginaria degli individui con le condizioni reali della loro esistenza, distruggere la società dello spettacolo. Dopo le esclamazioni bianche di Hurlements, il progetto-situazione della Critique de la séparation (1961), i commoventi détournement de La Société du spectacle (1973) e le affilatissime staffilate della Réfutation de tous les jugements, tant élogieux qu'hostiles, qui ont été jusqu'ici portés sur le film La Société du spectacle (1975), Debord si guarda alle spalle e traccia un bilancio del movimento da lui fondato in Italia (a casa di Piero Simondo in Liguria) venti anni prima. C'è un senso struggente di malinconia nel commento verbale, l'impressione che l'occasione sia andata perduta e che adesso non resti altro che l'eco-palindromo del titolo, ma ad ogni inversione quel 'giriamo in tondo nella notte e siamo consumati dal fuoco' si consuma lentalmente e scivola nel passato: 'in girum ibamus'. La perfezione del palindromo si spezza, la malinconia crea una faglia struggente in cui, sentimentalmente, è dolcissimo sprofondare.
