TRAMA
Ad una giovane educatrice, Anna, viene proposto di lavorare presso una solitaria residenza di campagna, dove due orfani di ricca famiglia vivono col resto della servitù. Mentre lo zio è in America per lavoro, i bambini mostrano un comportamento inconsueto, facendo preoccupare Anna. Strane presenze continuano intanto a manifestarsi nei paraggi della villa…
RECENSIONI
Un giro a vuoto
“Il giro di vite” o il giro di peppe? Precisiamo: l’ispirazione arriva dal celebre romanzo di Henry James, ma il resto confina con la noia. Sì, con la noia, e con l’inconcludenza di una scrittura filmica che strizza l’occhio ai capisaldi della ghost story cinematografica e letteraria, senza poi riuscire a far tornare i conti. Gli ingredienti del film di Donato Rotunno, lussemburghese di chiara origine italiana, non si limitano ad una rielaborazione di The Turn of the Screw, ma collimano anche con quelli, ormai codificati, di un filone che negli ultimi anni ha incontrato discreta fortuna sul grande schermo. Tra i paradigmi di codesto sotto-genere, alcuni dei quali inevitabilmente soggetti a consunzione, incombono i riflessi e le scorie di un particolare immaginario. Eccone, in breve, le coordinate essenziali. Al centro di tutto una antica residenza, abitata da un nucleo ristretto di persone, e visitata periodicamente da figure spettrali. La casa è circondata da un parco piuttosto esteso, avvolto magari da perenne foschia. I contatti con una qualsiasi realtà esterna a questo mondo tendono a rarefarsi sempre di più. Segni inquietanti annunciano poi un “sorprendente” ribaltamento dei ruoli, laddove la natura dei viventi e quella degli spettri viene rimessa in discussione. Tutto ciò comincia a ricordarvi qualcosa? Probabile che il primo film a venirvi in mente non sia In a Dark Place di Donato Rotunno, quanto piuttosto The Others di Alejandro Amenabar. Il problema è proprio questo. Per quanto l’italo-lussemburghese ci provi, l’ottima costruzione della suspance e l’altrettanto valida direzione degli attori, che facevano della pellicola di Amenabar un piccolo capolavoro, distano da qui qualche anno luce.
Rotunno, al primo lungometraggio da regista, può comunque vantare diverse esperienze come produttore; ed infatti dà prova di possedere un certo mestiere, apprezzabile nella scelta di location appropriate, come anche nell’insistenza su quei toni smorti, autunnali, che in chiave fotografica rendono i posti in questione ancora più cupi. Fatica invece a decollare il racconto, per quanto vi sia da registrare qualche siparietto erotico non disprezzabile, a testimonianza dell’impegno a tutto campo delle brave Tara Fitzgerald e Leelee Sobieski (quest’ultima nelle vesti dell’istitutrice protagonista del film, ossessionata dall’idea che qualcosa di brutto possa accadere ai bambini che le sono stati affidati). Cotanta applicazione da parte delle due interpreti, purtroppo, non basta. In a Dark Place soffoca così di fronte alla ripetitività di un mood stantio, percepito con ben altro spessore in precedenti contesti filmici. Rimangono allo scoperto piccole e grandi lacune di un intreccio che forse andava studiato meglio. E non solo per il rischio, poi concretizzatosi, che risultasse poco originale; ancora più sgradevole è la sensazione, registrata con punte di particolare intensità nella parte finale, che lo sviluppo dei personaggi rincorra qualche vuoto stereotipo, abbandonando il senso dell’azione a spiegazioni monche e frammentarie.
Stefano Coccia