TRAMA
Secondo dopoguerra. Holly Martins, scrittore squattrinato, arriva a Vienna in cerca dell’amico Harry Lime, ma scopre che è morto. Non è convinto della versione ufficiale dei fatti e sospetta che Lime sia stato ucciso. Alla sua morte hanno assistito tre uomini ma uno di questi sembra essere scomparso nel nulla. Martins indaga alla ricerca del “terzo uomo”, ovvero colui che potrebbe risolvere il mistero, ma la vicenda seguirà sviluppi inattesi.
RECENSIONI
Restaurato l'anno scorso in occasione del 50° anniversario, è stato ora distribuito anche nelle sale italiane (nella versione originale sottotitolata, deo gratias!) questo classico del cinema di spionaggio inglese.
La vicenda si snoda attraverso i vicoli di una Vienna rabbuita da un decadente clima post-bellico, incancrenita dalle macerie dei bombardamenti , dallo sciacallaggio del mercato nero e straziata dalla spartizione tra le quattro potenze vincitrici. Holly Martins, scrittore di romanzetti western (che tra l'altro impallidisce di fronte a un circolo di intellettuali che lo interrogano su Joyce), si trova così a precipitare in una spirale nera (Harry Lime) che lo inghiotte modificando la sua traiettoria, da disperato bisognoso di soccorso a soccorritore e poi da soccorritore a impietoso segugio, da inseguitore a inseguito, da vittima a carnefice, nel tentativo di districarsi dai fili che lo muovono a sua insaputa.
Lime, almeno nella prima parte del film, vive della sua programmatica assenza, necessaria in quanto forza motrice dell'intreccio e quando appare (sequenza ottimamente strutturata) lo fa attraverso le tenebre, protetto da quella barriera oscura che gli garantisce il beneficio dell'intoccabilità, sicurezza data dall'invisibilità, dall'essere celato allo sguardo dei suoi persecutori-inseguitori. Quindi il cinema, arte del visibile, qui muta a un tratto in arte dell'invisibile, del fuori campo, della presenza infilmabile e dell'assenza filmabile, proiettando così la figura di Harry Lime al centro degli eventi.
Reed dirige il film con sapiente mestiere e con un certo talento visivo che si sviluppa attraverso un uso massiccio del grandangolo e di bellissime inquadrature deformate (e soprattutto deformanti), che spesso partono dal basso e che contribuiscono in maniera decisiva a conferire al film quel carattere teso, nero e angoscioso tipico proprio dello stile di Welles. Addirittura si vocifera che il ruolo del grande regista non si sia limitato alla semplice interpretazione… Pare, tra l'altro, che Welles collaborò alla stesura dei dialoghi, indimenticabile la sua battuta sugli svizzeri e i Borgia, una perla di sopraffino umorismo che vale da sola il prezzo del biglietto. E' curioso, quindi come l'ombra di Welles aleggi per tutto il film, proprio come quella di Lime e come quella di tanti suoi demoniaci personaggi.
Ottime sia la fotografia curata da Robert Krasker che il motivo musicale che accompagna il film, suonato alla cetra da Anton Karas.
Almeno tre momenti di assoluto valore: la scena in cui un bambino accusa Martins dell'omicidio del portiere, quella sulla ruota panoramica e, più di ogni altro, l'inseguimento finale nelle fogne.
Sceneggiatura di Graham Greene (prendendo le mosse da un’idea del produttore Alexander Korda), che solo in seguito all’uscita del film pubblicò il romanzo: è un classico del genere noir e un capolavoro di claustrofobia cinematografica, resa da un indimenticabile gioco di chiaroscuri e scenografie oniriche-fatiscenti. Greene ammise che i dialoghi migliori li aveva scritti Orson Welles per il suo memorabile personaggio (un cinico criminale di guerra che riesumò in una serie radiofonica nel 1951), inventandosi, ad esempio, il famoso monologo in cui contrappone l’Italia dei Borgia (paese di delitti che generò geni) alla Svizzera neutrale (che ha prodotto solo orologi a cucù…): ma Welles (che solo in questa pellicola recitò mostrando il suo vero naso!) rese merito al regista a livello figurativo, dichiarando che era tutta farina del suo sacco, ad eccezione della scena in cui le dita di Harry Lime sbucano fuori dal tombino. Ogni inquadratura di Reed è una gioia per gli occhi, con largo uso dell’obliquità (per sottolineare le ambiguità) espressionista, e non mancano sapidi tocchi di sano humour inglese (ad esempio, il protagonista fa la figura del tipico, goffo, statunitense). Le migliori emozioni la pellicola le regala nella seconda parte, con una chiusura magistrale nelle fognature. Ottimi tutti gli interpreti, in testa Trevor Howard, davvero particolare il commento sonoro, con la cetra di Anton Karas (musicista scoperto da Reed proprio a Vienna). Opera restaurata e ridistribuita in sala nel 2000.