Drammatico, Sala

IL SUPERSTITE

Titolo OriginaleFor Those in Peril
NazioneGran Bretagna
Anno Produzione2013
Durata93'
Sceneggiatura
Fotografia
Scenografia

TRAMA

Aaron, un giovane disadattato di una remota comunità scozzese, è l’unico sopravvissuto di uno strano incidente di pesca che è costato la vita a cinque uomini, tra cui suo fratello maggiore. Incitato dalla superstizione locale, il villaggio incolpa Aaron per questa tragedia, facendo di lui un emarginato tra la sua stessa gente. Rifiutando fermamente di credere che suo fratello è morto, e accecato da dolore, follia e magia, Aaron esce in mare per ritrovarlo.

RECENSIONI


Presentato in anteprima mondiale alla Semaine de la Critique 2013 e vincitore di due Bafta scozzesi (miglior film e miglior attore), Il superstite arriva in Italia coraggiosamente distribuito da Nomad Film. Coraggiosamente perché si tratta dell’opera prima di un giovane regista britannico, senza un cast di particolare richiamo, decisamente art-house (alienazione di pubblico e critica mainstream assicurata) e non del tutto omogeneo nella sua riuscita complessiva (quanto basta, forse, per non potere neppure contare sull’appoggio compatto della critica più cinefila). Imperfetto e sovraccarico, il film cede a qualche cliché stilistico (i ricordi d’infanzia del protagonista girati rigorosamente in Super 8, ad esempio) e soffre strutturalmente sotto il peso delle proprie molteplici suggestioni. Allo stesso tempo, forse per l’intensità di queste stesse suggestioni e per la potenza scomposta e viscerale della loro messa in scena, Il superstite è uno di quei film in cui, nel processo di fruizione dell’opera, si innesca un meccanismo ambiguo e criticamente perverso – e proprio per questo travolgente e appassionante, perché fondamentalmente sincero – per cui quegli stessi limiti e sbavature corrispondono al contempo ai pregi e principali motivi di interesse. In questo senso, Il superstite è un film sorprendente, di grande intensità stilistica e narrativa, intrigante nella sua somma di intrecci e prospettive, spiazzante nella continua rinegoziazione delle proprie dimensioni espressive, mai sazio di se stesso e sempre in agguato, pronto ad esplodere in una direzione diversa.


Il film inizia vestendo i panni del dramma famigliare: una tragedia collettiva (un naufragio in mare, tutti morti, meno uno); un lutto devastante (l’adorato figlio/fratello maggiore); un ragazzo, Aaron, unico superstite del disastro e ora incapace di accettare la morte del fratello; sua madre che non sa se soffrire di più per il figlio morto o per quello tornato vivo. Tutto attorno, una piccola comunità di pescatori scozzesi, ostile e superstiziosa, che non trovando una spiegazione razionale alla sopravvivenza di Aaron, irrazionalmente lo ostracizza, aggravando progressivamente il suo disagio sociale, emotivo e psichico. Wright dipinge in maniera convincente questo contesto sociale intimamente violento e spietato, e si dimostra abile nell’evitare esagerazioni caricaturali e manicheismi. Il regista infatti dona all’ambiente una connotazione geografica e culturale specifica in grado di giustificare realisticamente il montare di superstizioni oscure e l’elezione antropologica di Aaron a ricettacolo di ogni male, condannato all’annientamento per espiare il dolore di un’intera comunità.


Per la scelta d’ambientazione, un certo stile visivo, il rigore realista tormentato da pulsioni irrealistiche, la parabola quasi cristologica del suo protagonista, Il superstite ricorda le atmosfere de Le onde del destino di Lars von Trier. Questa influenza, e quella più generale di un cinema di stampo realista votato alla critica sociale, si percepisce in maniera più consistente durante la prima parte del film. Poi, con la progressiva espulsione di Aaron dal corpo sociale, l’aggravarsi della sua condizione psicologica, l’insopprimibile tormento che lo porta a rigettarsi in mare alla ricerca del fratello, il film proietta se stesso altrove. E qui o prendere o lasciare: o si innesca il meccanismo menzionato in precedenza o il film ti respinge. La trama infatti si sfilaccia, o meglio, viene consapevolmente ridotta a brandelli, in segmenti audio-visivi anarchici che rinunciano a sommare gli elementi di una progressione narrativa completa e intellegibile, ma che piuttosto mirano a precipitare lo spettatore nell’abisso di follia di Aaron. Non c’è più narrazione fattuale, dunque, solo narrazione emotiva, una rincorsa furibonda e ossessiva di immagini, una cavalcata tesa e allucinante, in cui neanche i generi hanno più senso e, abbandonati gli sviluppi convenzionali del dramma famigliare e sociale, Il superstite prende le forme mostruose di un horror dalle derive occultiste in cui visioni di sangue, delirio e spavento illustrano il deteriorarsi della condizione del protagonista.
E quando il film ha scandagliato tutti i territori a sua disposizione, si è perso molte volte e non necessariamente si è ritrovato (a volte non importa), la dimensione realistica e quella surrealista trovano un punto di significativa sintesi nella scena finale, facendo spazio ad un’ultima virata espressiva: su una nota assieme delicata e toccante, gli incubi di Aaron che prendono forma nella carcassa di un mostro marino spiaggiato sulla riva, e l’abbraccio di una madre.

Nella somma dei pro e dei contro, Il superstite si pone infine come un lavoro decisamente interessante. Paul Wright è un giovane regista di cui attendere con curiosità i lavori successivi per capire come saprà raffinare e personalizzare un linguaggio cinematografico già d’impatto, ma forse ancora troppo magmatico per costituire una densità di stile riconoscibile. Nel frattempo, abbiamo un’opera prima che incarna tutto quello che in un film di debutto vorremmo vedere: creatività, spericolatezza, impeto.