Drammatico

IL SOLE

Titolo OriginaleSolntse
NazioneRussia
Anno Produzione2004
Durata110'
Sceneggiatura

TRAMA

IL SOLE è ambientato nel Giappone occupato in un periodo che va dalla fine dell’Agosto del 1945 al 1º Gennaio del 1946. Il 15 Agosto, l’imperatore Hirohito fece un pubblico appello al suo popolo affinché cessassero le operazioni militari. Milioni di giapponesi rimasero scioccati nel sentire per la prima volta la voce del loro imperatore-dio. Il film racconta i risvolti che stanno dietro le due decisioni cruciali prese da Hirohito: la prima fu la dichiarazione di resa durante la seconda guerra mondiale e l’altra la rinuncia al suo stato divino. L’incontro e il rapporto che l’imperatore Hirohito riuscì ad instaurare con il generale Douglas MacArthur fu fondamentale per la risoluzione finale del conflitto senza mietere ulteriori vittime.

RECENSIONI

La nuova ricognizione di Sokurov nelle stanze private del Potere trova Hirohito, imperatore alla disfatta, a confessarsi col suo maggiordomo: non si sente amato l'onnipotente (anche le divinità hanno bisogno di amore), non si sente compreso dai suoi sudditi. Come con Hitler (MOLOCH), come con Lenin, Sokurov non rinuncia a certe note canzonatorie, dipingendo questi colossi come esseri capricciosi o tendenzialmente infantili ma stavolta, dopo la deriva quasi parodica dello sbilanciatissimo TAURUS, il regista, alle prese con un personaggio ritratto come prodotto inevitabile di una cultura, non insensibile alle nobili origini del personaggio e al conseguente vissuto che lo hanno ingabbiato in una ritualità ossessiva, in una formalità castrante in cui i sentimenti sono pari a zero e gli slanci creano imbarazzo (la bellissima scena dell’incontro con la moglie), sembra più indulgente (l'autore, riferendosi al suo trittico, ha parlato di un finale che 'apre alla vita'): è una decisione obiettivamente difficile quella che porta l'Imperatore a rinunciare alla propria divinità, 'in nome della pace e della prosperità', quando è tutta una nazione che sembra pretenderlo diverso, parendo incapace di rinunciare al suo idolo e che trasecola addirittura di fronte a una manifestazione di ordinaria diplomazia (Hirohito, che si piega a parlare in inglese col generale MacArthur o che si presta a un'umiliante sessione fotografica, viene criticato dai suoi stessi sottoposti).
L'Imperatore scrive una poesia, si interessa di idrobiologia, si rivolge con una lettera al figlio considerando le cause del disastro (l'orgoglio nazionale come un morbo che affligge un popolo intero), guarda le foto di famiglia e quelle dei divi del cinema americano, accarezza i busti di Lincoln, Darwin e Napoleone, intrattiene una lunga conversazione col generale americano, vero acme di questo surreale kammerspiel[ricordiamo i fatti: il generale MacArthur chiese al Presidente USA che l'Imperatore non fosse dichiarato criminale di guerra: ciò impedì l'inevitabile conflitto armato cui si dicevano pronti milioni di giapponesi non rassegnati. Così MacArthur: «L'Imperatore si assunse la responsabilità di tutte le azioni del governo giapponese e delle forze armate (...). Rimasi colpito. Era Imperatore dalla nascita, ma in quel momento realizzai che avevo incontrato il primo gentleman giapponese»]: nelle parole, nei gesti impacciati del protagonista, Sokurov dimostra lampi di semplicità quasi ingenua, certo, ma il tema, fortemente stratificato, la cultura così distante di cui questo leader è figlio divino, sublimano la prospettiva irridente, stemperano la vena grottesca e tengono l'opera ben lontana dai toni da vacua pochade di un TAURUS; non per questo c'è realismo: IL SOLE non suona come ricostruzione neanche plausibile della quotidianità di un idolo infranto, ma sembra piuttosto il teorema immaginoso di un moralista preso a dimostrare come, a prescindere dalle congiunture e dalle circostanze storiche, a dettare il corso degli eventi sono sempre e comunque le persone, i loro caratteri più o meno complessi, le loro qualità e i loro difetti.
Il film, figurativamente straordinario, si muove in ambienti che emergono dal sogno della Storia, resi con immagini decolorate, di una densità lattiginosa che sembra quasi trattenere i movimenti delle figure in esse immerse; la stessa macchina da presa si muove lenta dentro e fuori dal bunker del dio e incede solenne nella consueta, rigorosissima messinscena teatrale, privilegiando le inquadrature dal basso e dipingendo con sublime lirismo alcune lancinanti intuizioni (gli aerei-pesci che bombardano la città - unico momento di onirismo dichiarato della pellicola -, lo sguardo dell'Imperatore sulla città devastata).Enormi i problemi distributivi in Giappone: gli esercenti che hanno deciso di proporre il film e Issey Ogata, l'attore che interpreta in modo memorabile Hirohito (è in patria un celebre comico), hanno ricevuto minacce di morte.

Dopo Hitler idiota al potere (Moloch), dopo il potente Lenin ridotto a istupidito simulacro (Taurus), Sokurov prosegue la sua riflessione sulla più feroce e tragica tra le perversioni umane, che pure sembriamo disposti ad accettare come un male necessario. Il protagonista è stavolta l’imperatore Hirohito, divinità discendente dal Sole secondo il cerimoniale, che ne scandisce puntigliosamente la giornata ma senza i fasti di un’epoca trionfale, anzi adeguato al tempo di una guerra ormai perduta: militaresco e spartano, però ugualmente delirante con gli inchini, il divieto di volgere la schiena al sovrano, l’impossibilità per chiunque di condividere la sua tavola, e per il popolo di ascoltarne la voce. I colori sono spenti, sì che in alcuni momenti la pellicola sembra un bianco e nero opaco, tanto la luce è priva di raggio e come offuscata da una penombra perenne; le facce dell’imperatore e dei suoi dignitari sono grigie mentre discutono vanamente di strategia o rivendicano, senza celare la tensione nervosa, l’eroismo delle truppe, o mentre egli osserva con stupore – come se avesse di fronte uno degli amati esemplari marini – la fronte imperlata di sudore di un servitore che gli abbottona la camicia. Un mondo di fantasmi, un sogno straniante e livido.
Il dio scende sulla terra, abbandona l’empireo e diventa uomo. Le smorfie che continuamente compie con la bocca – un tic che ne rende sgradevole l’aspetto – sono come una nuova lingua, fra le tante che ha studiato, di cui non conosce il suono e l’articolazione. Gli sforzi di uscire dalla prigione della propria divinità si fanno via via meno timidi e sfidano, con una buona dose di spirito e un’amarezza che trapela senza vittimismi (la frase Non mi ama nessuno non è lamento ma ferma constatazione, possibile grazie a una nuova consapevolezza: gli dèi non hanno bisogno d’amore), l’ottusa fedeltà di chi gli sta intorno.
Opera libera da inutili compiacimenti stilistici o adescamenti verso il pubblico, con solo saltuarie cadute nel meccanico e nell’ovvio – la figura di McArthur – Il Sole ha momenti altissimi: la Tokyo spettrale ove gli scampati ai bombardamenti sopravvivono a stento; la riunione alla moglie, con l’imperatore rinato a vita umana che cerca di liberare il volto di lei dalla veletta che lo copre; l’incontro con i fotografi, quando l’inesperienza di Hirohito a comportamenti spontanei lo rende goffo, lo fa paragonare a Charlot. Solo accettando la pena dell’esistenza, il rischio dell’errore, il fallimento delle procedure, il giudizio di chi non lo guarda dal basso – in definitiva, rinunciando alla disumanità del potere – egli potrà inorridire al gesto di un suddito che voleva onorarne la maestà, e potrà incontrare con un timido sorriso lo sguardo della moglie.
Il rigore formale di questo film è la migliore risposta ai cantori di un cinema frenetico e inane; la sua severità, degna della suite di Bach che lo accompagna, è in qualche modo bilanciata dalla limpidezza struggente della sua poetica, simile a quella dei versi pronunciati dal protagonista: la neve somiglia al fiore di ciliegio / il tempo indifferente l’una e l’altro cancella.