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IL SIGNORE DELLE FORMICHE

TRAMA

A fine anni ’60 va in scena a Roma il processo al poeta e drammaturgo piacentino Aldo Braibanti, accusato di aver plagiato un giovane.

RECENSIONI

Il signore delle formiche è Aldo Braibanti, e il titolo dice di lui (e dello sguardo di Amelio su di lui, per lui) già tutto quello che gli occhi e il corpo di Luigi Lo Cascio racconteranno nello scorrere del film: un uomo devoto alla cura della fragilità naturale, privata, umanissima, un poeta mirmecologo anche capace di passioni furibonde e un intellettuale drammaturgo dotato di un metodo incendiario e fascinatorio d'insegnamento, e verso il quale si scatenavano spontanee le attenzioni dei suoi studenti. Uno dei quali, il diciannovenne Giovanni Sanfrantello, il giorno del loro primo incontro, in una delle prime sequenze dispiegate dal film, come gli altri va a caccia per lui di una formica regina, un'espressione rara di magia naturale intatta, perché ancora alata, e gliene fa dono. È innervato, il tredicesimo lungo di Amelio (il settimo presentato alla Mostra di Venezia), da una parte da questa strenua resistenza del sentimento nonostante tutto, che si mostra in campi e controcampi di alto nitore formale, di rigore piano, essenziale, e poi nella sequenza finale, un commiato sottotraccia, un'encore impossibile, un'immagine amorosa ferita e struggente, come se il film faticasse a lasciar andare gli occhi dei due amanti superstiti ma distrutti da una pratica di violenza di stato mascherata da giustizia, sulla difensiva (a difesa, nelle parole del regista, della famiglia in quanto “massimo potere”).

L'altro binario su cui corre Il signore delle formiche, parallelo, è la dissoluzione di tale purezza, dello studio immacolato (e amoroso anch'esso) della vita e delle sue passioni, lo smantellamento della sua dignità, la gogna pubblica in cui è trascinato Braibanti, il cui processo (politico), manifesto ammonente, diventa un caso (un vergognoso unicum nella Storia d'Italia) quando viene accusato di aver plagiato Sanfratello (chiuso dai familiari in ospedale psichiatrico e sottoposto a decine di elettroshock) e condannato a nove anni di carcere (poi ridotti a sei, lui ne sconterà due) per un reato introdotto durante il regime fascista, non prima di aver attraversato le forche caudine di un annichilimento verbale – ghiotta occasione colta al volo dai restauratori dell'ordine tradizionalista, che lo vedevano di mal occhio perché omosessuale –, uno stillicidio perpetrato anche da testimoni come la madre stentorea e durissima di Giovanni (la interpreta la soprano Anna Caterina Antonacci, una scelta di casting parlante, figurativa quasi, che contrasta mirabilmente con la dolente tenerezza di Rita Bosello, mamma di Lo Cascio/Braibanti).

Nel mezzo del contesto procedurale, interviene cinematograficamente (come alter ego spettatoriale, e registico) la figura (inventata ad hoc) di Ennio, giornalista dell'Unità, stoico e pugnace, che vede l'accanimento giudiziario per quello che è e si stringe dalla parte dei giovani e giovanissimi manifestanti (era il Sessantotto, per l'appunto, e l'aria andava purgata). L'equilibrio ricercato da Amelio sta dunque in questa lotta visiva ed epidermica fra la rettitudine e la pulizia dell'amore e del suo senso politico, resistente, e le parole, i proiettili del palcoscenico d'orrore che, in tribunale, inaridiscono la composizione, asciutta e partecipe, delle inquadrature, e che un profilo fittizio, simbolico, narrativo come quello del reporter, tenta di ordinare e correggere.
Ecco, al netto delle grinze, discutibili (la rappresentazione scentrata della posizione reticente presa dall'Unità: il 13 luglio 1968, nel suo editoriale a sostegno del militante antifascista perseguitato, il direttore Maurizio Ferrara si scagliava contro un processo ove la morale “si identifica con il moralismo più oscurantista e repressivo”), Il signore delle formiche, nel suo classicismo terso (e specchiato nella performance di gran fermezza di Lo Cascio), è allo stesso tempo anche il film più emotivo e partecipato di Amelio da molti anni a questa parte.