TRAMA
Irlanda, anni quaranta: una bambina è mandata a vivere con i nonni pescatori, che le narrano di fantastiche leggende legate alle foche e a un’isola che hanno abbandonato, perdendo un infante nel mare
RECENSIONI
Deliziosa fiaba, raccontata con calore e misura (mai una sbavatura sentimentalista, mai una sottolineatura plateale), in cui il regista indipendente John Sayles ha scoperto il segreto per trasferire su pellicola l'atavica, avvolgente, stupita atmosfera in cui piombava l'infanzia inseguendo i racconti vicino al focolare. Rinasce il naturalismo mistico ed esotico alla Flaherty, sotto l'egida di una splendida leggenda celtica che riscopre i luoghi e i toni realisticamente fiabeschi di Local Hero, con percorsi narrativi simili a Quando Vennero le Balene di Clive Rees. Sayles è uno splendido "mutaforma", capace di sceneggiare B-movies horror ed eseguire con modestia e autorale passione un piccolo capolavoro di questo tipo, toccando temi penetranti, anche politici (un brano contro l'Inghilterra tiranna), senza intaccarne minimamente la genuina vocazione fiabesca e senza ansie di modernità: per comprendere la lievità del suo tocco, basterebbe la scena in cui la foca-sirena cambia pelle, senza accenni erotici e orrifici. Il racconto è rivolto ad un pubblico intelligente senza distinzione d'età, nostalgico di un passato remoto in cui l'uomo era parte rispettosa della natura (le foche e il desiderio di un ritorno, nell’isola, dei “consanguinei” pescatori), mitizzava il mare e non conosceva la scienza demistificatrice che lo inaridirà (la contrapposizione con l’urbano alienante). È anche un inno alla tradizione orale, ai legami familiari, al mondo dell'infanzia con i suoi ingenui/puri voli pindarici, tracciato con intima e solare delicatezza, speculare alla fotografia di Haskell Wexler, affascinata dall'inconfondibile verde irlandese.
