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IL ROBOT SELVAGGIO

Titolo OriginaleThe Wild Robot
NazioneU.S.A., Giappone
Anno Produzione2024
Durata102'

TRAMA

In seguito a un naufragio, un robot senziente di nome Roz rimane bloccato su un’isola disabitata. Per sopravvivere all’ambiente, Roz lega con gli animali dell’isola e si prende cura di un cucciolo d’oca rimasto orfano.

RECENSIONI

C’è subito qualcosa che distrae, non convince appieno, nel film di animazione Dreamworks tratto dal romanzo illustrato di Peter Brown. Forse è la sensazione di déjà vu che fa immediatamente pensare prima a Wall-e, con un robot solitario alle prese con un mondo senza umani, poi a Prendi il volo, per citarne uno tra i tanti, per tutti i timori, i preparativi, gli inconvenienti e le avventure conseguenti al fenomeno migratorio (i riferimenti, nel complesso, sono davvero tanti e vanno da La gabbianella e il gatto a Il gigante di ferro passando anche per E.T.). Ma non è solo questo, è proprio l’impatto visivo che allontana, con quel contrasto, ricercato, fortemente voluto dal regista, eppure stridente, a metà strada tra i dettagli fotorealistici del robot protagonista e il pittorico evocato dai fondali e dalla caratterizzazione degli animali che incontra, con un effetto da concept art in movimento; una scelta che imprime sicuramente personalità all’impatto visivo ma che dà anche l’impressione di un work-in-progress, come se mancasse qualcosa, un ulteriore passaggio in grado di dare armonia e togliere quella sensazione di incompletezza. Non aiuta una narrazione che sembra rivolgersi unicamente ai bambini, con una prima parte che fatica a ingranare e abusa di cadute, urla e capitomboli e un incedere che sembra preoccuparsi di dover riempire ogni fotogramma con cose che accadono, come se un approccio semplice, insito nelle premesse (Flow in tal senso insegna), non fosse già sufficiente per tenera desta l’attenzione. La sceneggiatura mette quindi tanta carne al fuoco, ma con un approccio un po’ didattico che sembra sempre dovere impartire una lezione su temi brucianti della contemporaneità, quindi inclusività, solidarietà, integrazione e ambientalismo, con svolte però poco plausibili e forzate anche in un contesto di pura fantasia. Il percorso di formazione si sviluppa in modo prevedibile, anche un po’ noiosetto, spiegando ogni azione per filo e per segno nei suoi rapporti causa effetto, con i soliti animali parlanti e antropomorfi che mettono a tacere i loro istinti naturali per far progredire il racconto e i sentimenti che riescono a farsi strada anche in un cuore meccanico. Viene evocata una complessità fatta anche di ombre, con una natura selvaggia non sempre conciliante e ci si affida all’ironia per sdrammatizzare, ma le difficoltà dei protagonisti trovano sempre facile soluzione con un accumulo che finisce più che altro per frastornare, soprattutto nella seconda parte. Eppure, buon per lui, è stato molto apprezzato, con candidature ai Golden Globes e agli Oscar, forse soprattutto perché ha consentito alla Dreamworks di trovare una propria cifra stilistica che dopo Il gatto con gli stivali 2 e Troppo cattivi sta diventando riconoscibile. Che poi piaccia o meno è come sempre soggettivo.