TRAMA
La vita di Eleonora Pimentel Fonseca.
RECENSIONI
Dopo un piccolo film dolce e disilluso (Non è giusto), Antonietta De Lillo affronta lassurda rivoluzione napoletana del 1799 (capeggiata dagli esponenti dei ceti alti e contrastata dai lazzaroni sanfedisti), concentrandosi su una delle sue figure chiave, Eleonora Pimentel Fonseca, vero enigma nella società del suo tempo (e non solo): proveniente da una nobile famiglia portoghese, poetessa di talento, insofferente della tirannide regale non per volontà di gloria o superficiale ribellismo, ma per autentico amore della Ragione e per intima comprensione delle sofferenze del popolo. Basterebbe il soggetto, lontano dal minimalismo coatto (in tutti i sensi) e dallostinata contemplazione del proprio sconfortante ombelico che sono ormai una costante per la quasi totalità del cinema italiano dautore (o presunto tale), a rendere il film (molto liberamente tratto dal romanzo di Enzo Striano) degno di considerazione e rispetto: ma cè (ben) altro. De Lillo riduce a brandelli gli episodi, i personaggi, le voci per catturare le corrispondenze che galleggiano nei contorti sentieri della Storia e dellesistenza di Eleonora, che nellora della morte sospesa, quando non cè più il resto di niente da fare, rivede, evoca, immagina la propria vita: la tetra cornice della prigione ospita un Settecento lercio e rabbioso come poche volte si è visto, sotto le cui parrucche scomposte (non) si celano lavidità, la grettezza, la miseria di un regime così antico da suonare paurosamente attuale (la scurrile sordità dellArcadia, lesercito francese che si vende al miglior offerente peggio delle serve spinte dalla fame). La lebbra della disuguaglianza e dellinfelicità non si sconfigge con mosse repentine, brutali come il male da estirpare: solo lopera lenta e infaticabile dellistruzione, della solidarietà, dellarte garantisce frutti duraturi. Luomo, condannato dal rapido scorrere del tempo, deve soccombere, ma i suoi pensieri e le sue azioni costituiscono uneredità capace di sopravvivere.
Determinata a osare unostica terza via fra lopera per pochi, dottissimi intimi e la fiction laccata e lagnosa per il popolo televisivo, la regista non rifugge dal sentimento ma sa intrecciarlo alla lucida esposizione delle idee, come le immagini si sovrappongono agli stilizzati disegni di Oreste Zevola: il risultato è un collage disomogeneo come un dramma sacro barocco rivisitato da Brecht, che non trova un equilibrio e, se anche lo trovasse, non saprebbe che farsene, visto che il suo fascino nasce anche dai suoi difetti. La presenza a tratti superflua della voce over, la sontuosità di maniera delle scene mondane, il tono austero e vagamente compiaciuto del colloquio immaginario fra Eleonora e il giurista Gaetano Filangieri (fra i padri spirituali della rivoluzione) sono altrettante testimonianze della difficoltà di mettere in scena unopera che è in eguale misura racconto storico e amarissima fiaba filosofica. Illuminato dalla grazia magnetica di Maria de Medeiros, Il resto di niente è un tentativo grezzo e imperfetto, ma a tal punto generoso, ostinato e vitale (soprattutto nellepilogo) da meritare ben più che lonore delle armi.
