Drammatico

IL RESPONSABILE DELLE RISORSE UMANE

Titolo OriginaleThe Human Resources Manager
NazioneFrancia/Germania/Israele/Romania
Anno Produzione2010
Durata103'
Sceneggiatura
Tratto dadal romanzo di Abraham B. Yehoshua
Montaggio
Scenografia

TRAMA

Una straniera muore in un attentato a Gerusalemme. I datori di lavoro, unici suoi conoscenti, per una serie di combinazioni rimangono all’oscuro dell’accaduto e tardano a riconoscerne il cadavere. Per evitare l’uscita di un articolo che possa mettere in cattiva luce l’azienda, la proprietaria manda il responsabile delle risorse umane ad accompagnare il feretro nel paese di origine della donna.

RECENSIONI

Dal regista del Giardino di Limoni ci si sarebbe aspettato un adattamento del romanzo di Yehoshua che ne mantenesse la complessità, la forza metaforica, che trasformasse in cinema il percorso interiore del protagonista, colpevole di indifferenza ma esente da specifiche responsabilità sull'accaduto (come invece viene inappropriatamente sottolineato all'inizio del film, quando un fastidioso moralismo gronda dai personaggi più disparati che additano il funzionario di un'ignominia sproporzionata alla colpa reale, sorvolando sulla concatenazione di sfortunate casualità). Invece Raklis si appropria dell'aspetto più spiccatamente tramico, rinunciando ad ogni dettaglio che non fosse legato alla superficie del pellegrinaggio on-the-road della combriccola, con annessi problemi logistici, climatici, burocratici, motóri (Sposa Siriana's style). E' molto tenue la traccia dei chiasmi e delle corrispondenze del romanzo (la rinascita a causa di una morta, l'uomo si sente progressivamente responsabile quanto meno lo diventa nel protrarsi del tragitto, al crescente freddo geografico corrisponde lo scongelamento della coscienza), mentre svanisce la valenza metaforica della dissenteria, depurazione definitiva dal canceroso stato apatico (un più 'educato' vomito rappresentato in modo goffamente sciatto).

Ciò che rimane è un prodotto esotico, "da esportazione" (non è un caso che sia candidato agli Oscar 2011), dove i luoghi sono accuratamente valorizzati dalla "bella fotografia" che spazia sui paesaggi innevati, nella quale i dialoghi brillanti e le situazioni grottesche possono strappare sorrisi ma mai appaiono anche mattoni funzionali alla ricostruzione della coscienza del personaggio principale; film che esibisce, oltretutto, una banalizzazione delle figure secondarie, caricature spuntate della sensata stravaganza dell'originale (il giornalista, chiamato "il serpente" nel romanzo, qui appare più stupido che perfido) e una messa in scena di talune situazioni di affettato pressapochismo (il responsabile delle risorse umane che va a casa della defunta e incontra lungo il percorso solo religiosi impeccabilmente nero vestiti, genera, non voluto, un effetto parodico a là A Serious Man).
Dunque 'il' viaggio, ri-scoperta di sé in Yehoshua, in Riklis si sviluppa su una traiettoria epidermica, e non bastano un paio di telefonate del protagonista alla figlia e una sua lacrima mentre vede scorrere sul cellulare un video della donna morta, per sostanziarne il progressivo processo catartico, che rimane solo enunciato, nel palese disinteresse del regista.