Fantasy

IL REGNO DEL FUOCO

TRAMA

Londra 2008: il piccolo Quinn, durante una visita nei sotterranei della città dove lavora la madre ingegnera, risveglia un drago sputafuoco dal suo sonno plurimillenario. Nel giro di 20 anni il drago e la sua numerosa stirpe mettono a ferro e (soprattutto) fuoco il pianeta. Rimangono pochi sopravvissuti (Quinn compreso) ai quali non rimane che resistere, resistere, resistere…

RECENSIONI

L’idea alla base de Il regno del fuoco non è malaccio: inserirsi nel filone cinematografico “Fantasy(oso)”-MedioEvoProssimoVenturo di MadMax-iana memoria corredandosi di un tipico elemento Fantasy-Medievale-SenzaTempo à la Dungeons&Dragons come il Drago(n) Sputafuoco. I due mondi risultano in effetti complementari e perfettamente integrabili, collocati come sono in tempi ipotetici iconograficamente affini e matrilineari; lande desolate e/o verdeggianti (qui il paesaggio irlandese), architetture gotiche in perenne e “oscura” decadenza (la cattedrale/castello dove albergano i sopravvissuti ma anche la Londra distrutta col suo skyline darkeggiante), abiti e décor sospesi tra passato immaginario e sua futuribile proiezione (come accade nell’universo di Star Wars, esplicitamente richiamato nell’immediato, “metacinematografico” post-prologo del film e non solo lì*) e una tecnologia altra che cerca la “magia” nell’incontro tra il progresso e la sua negazione (le balestre che lanciano dardi esplosivi, sorta di corrispettivo della *spada-laser impugnata da Skywalker). La presenza del Drago, ne Il regno del fuoco, non può che fungere da legittimo collante tra questi due affini universi cinematografici, essendo esso stesso (il drago) paradigmatico, archetipico esempio di creatura sospesa nel tempo, incrocio “credibile” quanto mitico tra i dinosauri e gli orchi delle fiabe. E infatti il film funziona: movimentato ma non fracassone, citazionista (Star Wars, come già detto, il Mad Max delle motorizzate bande guerriere e altro ancora), svolge il suo compit(in)o di onesto entertainer grazie non solo alla già citata valida base di partenza, ma in virtù di una regia misurata e capace che fa un uso non sconsiderato degli effetti speciali, mai sfoggiati come unica e gratuita ragion d’essere (si veda la sequenza del lancio degli “arcangeli” dall’elicottero, una delle più riuscite del film, quasi tutta giocata sul non visto “sospensivo”, complessivamente molto ben orchestrata e condita da sprazzi di draghi digitali messi al punto giusto e per la giusta durata). Restano, ovviamente, i limiti fisiologici a questo genere di produzione, ossia una sceneggiatura non solidissima, dialoghi prevedibili (e trascurabili), personaggi che sguazzano tra gli stereotipi e una recitazione scolastica; quel che conta però, si sa, è che i minuti passino rapidi, indolori e moderatamente divertenti. E i passabili 100 minuti di Reign of fire passano indisturba(n)ti.