TRAMA
Simba è il futuro re leone, ma si sente in colpa per la morte del padre (causata, in realtà, dal malvagio zio) e fugge dal regno.
RECENSIONI
È il primo lungometraggio della Disney a prendere le mosse da un soggetto originale (ma Osamu Tezaka, creatore di Kimba, il Leone Bianco, avrebbe avuto da ridire), vagamente Amletiano. Abitato da soli animali, si rifà, nel tratteggiare i personaggi, a classici come Robin Hood (il fratello leone malvagio…) e Il Libro della Giungla (dalla foresta alla savana: lo ricordano soprattutto gli spassosi duetti canterini fra il facocero e il suricate, i migliori della pellicola), aggiungendo loro l'afflato tragico ed edificante di Bambi (il tema della crescita, dell'assunzione di responsabilità, il dolore della morte). Quest'ultima scelta, meno "disimpegnata", rappresenta un'inversione di tendenza rispetto alla produzione Disney degli anni precedenti, e conferisce all'opera proprio la maestosità e la forza di un leone. Gli esordienti registi Roger Allers (un veterano dell'animazione e della supervisione dei soggetti) e Rob Minkoff (più giovane, fattosi le ossa con i primi cortometraggi di Roger Rabbit) inteneriscono (le espressioni del piccolo Simba), cantano (i primi numeri musicali sono però gratuiti, rompono la compattezza del racconto, è banale la loro visualizzazione animata) e divertono (anche "scostumatamente": i rutti e le puzze del facocero, gli insetti divorati) ma non dimenticano di educare anche attraverso la "dolce severità" (la figura del padre), la "sana crudeltà" della vita. Un dramma shakespeariano, fra fantasma del padre, intrighi di corte, crucci di coscienza. La Disney prende spesso a modello, per le fisionomie, dei personaggi famosi che poi chiama per il doppiaggio: è abbastanza evidente, ad esempio, che lo zio leone è modellato su Jeremy Irons e che la iena femmina è Whoopi Goldberg. L’opera s’è riaffacciata al cinema, in 3D, nel 2011.