
TRAMA
Unione Sovietica, 1939: Ivan è un proiezionista cinematografico che il KGB incarica di entrare a servizio di Stalin in persona, al Cremlino. È molto emozionato, ma non può raccontare a nessuno della sua esperienza.
RECENSIONI
Se è meravigliosa la ricostruzione ambientale dell’epoca stalinista (Konchalovskij: “Ho fatto il film per spiegare la Russia agli americani”), è al contempo toccante, sconcertante e graffiante la critica a un’ideologia che aveva condizionato a tal punto le menti dei cittadini da rasentare l’annullamento della coscienza, il discernimento e l’orgoglio personale, al di là di quello figlio del fanatismo o del vero e proprio feticismo nei confronti del padre/padrone. Il moscovita Andrej Konchalovskij, in una co-produzione con finanziamenti anche italiani e distribuzione statunitense, torna a lavorare in patria dopo anni di esilio, gira per primo all’interno del Cremlino e non le manda a dire con un’enfasi sovraccarica, mascherata nell’indecisione fra satira e melodramma. Nelle ambizioni c’è di fare del protagonista l’archetipo dell’animo russo, che non è mai stato libero e non è in grado di ragionare senza un leader da idolatrare, negando le evidenze. Il suo racconto romanzato sul proiezionista Alex Ganchin (qui Ivan Sanchin) è potente ma perde il controllo, a tratti, del disegno dei personaggi, spaziando dal caricaturale al bozzettistico, dal farsesco grossolano al drammaticamente realistico. Peccato, anche, che il racconto non sia più cinefilo: Konchalovskij testimonia solo la proiezione al Cremlino di Il Grande Valzer di Julien Duvivier. Un portento Lolita Davidovich che interpreta la moglie di Ivan, paradossalmente in competizione per amore con il tiranno; bravo Tom Hulce mentre Bo Hoskins, come capo dei Servizi Segreti, ha una parte fugace che rimane impressa.
