TRAMA
In un’isola del Giappone, gli abitanti venerano gli dèi: sono convinti che la siccità e le sventure siano dovute ai peccati di un padre di famiglia che è andato a letto con la sorella. Da Tokyo, arriva un ingegnere alla ricerca di una falda acquifera.
RECENSIONI
Magnifica parabola ordita da Imamura insieme allo stesso sceneggiatore di Cronache Entomologiche del Giappone (Keiji Hasebe): su di un’isola immaginaria segnata da colori sanguigni, i due autori studiano l’essere umano nello scontro fra Superstizione Selvaggia e Finta Civilizzazione (che agli dèi irrazionali sostituisce il Dio-Denaro), stando, pur con tutta la feconda ambiguità che fa del cinema di Imamura un’esperienza sempre stimolante, dalla parte dei folli (la ragazza selvaggia) che vivono allo stato brado, contro le passeggere Regole umane, in armonia con i dettami della Natura, fonti di un desiderio sessuale primigenio, senza tabù, capaci di un’inimmaginabile fedeltà in Amore, quello verso l’uomo e verso la Terra (l’isola). La Superstizione può essere strumentalizzata, blocca la Vita contro ogni buon senso ma, dal canto suo, il Moderno scientifico, che nega altri Poteri da sé, ha una superbia che Imamura non mancherà di punire, anche perché ha perso il contatto con la sana insania (che, immancabilmente, conquisterà l’ingegnere protagonista). Il paradosso degli abitanti dell’isola è che sono stati tutti creati nell’incesto che, per tradizione, non tollerano: la mitologia su cui fondano la propria esistenza si confonde, per volere del regista, con le tracce delle loro esistenze, dimostrando la fondatezza delle proprie matrici. È il vissuto reale che mette in scena la mitologia o la mitologia che determina le direttrici dei vissuti? Le leggende nascono dai fatti e li generano.