TRAMA
RECENSIONI
94 anni a dicembre e non li dimostra, anzi li dimostra tutti, per fortuna sua e nostra: De Oliveira trionfa degli insulti del tempo e di quelli molto più pericolosi della distribuzione italiana, che non rispetta labituale embargo di dodici/quattordici mesi e propone, in questo inizio di stagione disfatto di polemiche lagunari, il film più recente del regista portoghese, presentato allultimo Festival di Cannes.
Quattro personaggi alle prese con lamore e la morte in un pugno di interni ed esterni: punto di partenza è un romanzo di Agustina Bessa-Luìs, ma Shakespeare, Racine e Flaubert non tardano a fare capolino. Due amici dinfanzia che si scoprono nemici in amore (ma la verità è anche unaltra, nascosta e terribile), due donne apparentemente agli antipodi (il giglio verginale e luttuoso e la rosa perduta e pungente), due narratori (i fratelli cui spetta lonore dintrodurre, in una lunga, dissanguata, ammirevole scena di dialogo, lantefatto della vicenda) indulgenti e sarcastici, due mondi (laristocrazia congelata in un tramonto perpetuo e una borghesia rampante e di pochi scrupoli), due categorie etiche ed estetiche (il profano e il sacro), il Bene e il Male, diavoli e angeli a confronto.
Disposti i pezzi sulla raffinatissima scacchiera (magistrali le luci di Renato Berta), De Oliveira dà il via a una partita al massacro regolata dal principio dellincertezza, in due accezioni formalmente distinte, sostanzialmente identiche: dove il dubbio inizia, lì è lessenza vincolante. Un dubbio che allinizio sembra osceno, sterile e cinico, ma finisce per essere lunica chiave disponibile per (tentare di) aprire le porte chiuse di questo dramma cameristico (in più di un senso), percorso da un filo rosso sangue di umorismo elegante e grottesco. Angeli e demoni sono più simili di quello che sarebbe opportuno, il Bene e il Male si attraggono più di quanto non si combattano (il ricordo di Giovanna dArco), lincertezza non si scioglie fino allultima inquadratura. Forse.
Il dialogo scintillante di Party, le alchemiche geometrie de I Misteri Del Convento, il potere del Verbo (e del verbo) di Parole E Utopia, la disperazione stilizzata de La Lettera, la commovente sagacità di Ritorno A Casa formano lordito su cui il regista dispone la trama, un sudario sul quale vizi e capricci umani tratteggiano un racconto (im)morale affine allexemplum medievale e al vaudeville. Lunghe teorie di corridoi e salotti, immagini nelle immagini e attraverso le immagini (portici, quadri, specchi, vetri), ombre che si rincorrono, istanti che si echeggiano (lo sposalizio e la serata nel pub, lincubo di Camila e il battello dellinizio): il tempo fugge (la successione di due inquadrature della città di Oporto, di giorno e di notte, come stilizzato orologio) ed è sempre meno facile distinguere la realtà dalla simulazione (i paesaggi in fuga visti attraverso i finestrini di un treno fra vita e sogno, la maschera abbandonata).
Nei divini, infiniti piani sequenza, nelle inquadrature fisse che sembrano dipinte con supremo artificio, nelle spire barocche di un dialogo crudele e acutissimo emergono gli abissi della vita e i vertici dellarte. Un film assoluto, come sempre sconcertante, impalpabile e implacabile: attori perfetti (Baldaque e Silveira in particolare), musica divinamente infernale (Capricci di Paganini).
