Animazione

IL PRINCIPE D’EGITTO

Titolo OriginaleThe Prince of Egypt
NazioneU.S.A.
Anno Produzione1998
Durata90'

TRAMA

Mosè, affidato alle acque del Nilo, cresce alla corte del Faraone. Adulto, guiderà il popolo ebraico verso la Terra Promessa.

RECENSIONI

Il debutto della DreamWorks di Spielberg nel lungometraggio d’animazione avviene con un’opera “di rottura” nell’argomento e nello stile grafico, che ha poco che vedere sia con i classici Disney sia con i film biblici alla DeMille. Rispetto al canone fissato da zio Walt & soci, “Il Principe d’Egitto” scarseggia sul versante canzoni (ridotte al minimo e sempre dotate di una funzione drammatica, vedi la cantilena che rende possibile l’agnizione del protagonista o la lugubre melodia che contraddistingue i viscidi cortigiani e le loro supposte magie), prevede pochi spunti comici (le figure degli allegri principi sono destinate a evolversi in ben altro senso nel corso dell’azione) e non vanta una storia d’amore come nucleo propulsore centrale. A dire il vero, il rapporto affettivo c’è, ma è quello che lega i presunti fratelli Ramses e Mosè, costretti a rinnegare i sentimenti personali per ubbidire alle assurde, invisibili logiche di un ordine superiore impenetrabile e feroce. Nella descrizione del conflitto familiare, sempre più indipendente dalla volontà dei singoli, il film trova il suo tratto più convincente: l’odio che dilania i gruppi sociali (ebrei ed egiziani, ma la formula è applicabile a qualunque conflitto) causa inevitabilmente le sofferenze dei singoli. Il dramma “borghese”, effetto e riflesso della Storia Universale, giustifica la scelta di rendere complessa, contraddittoria, viva la psicologia dei personaggi, e di cancellare dalla messinscena pompe e splendori di matrice zeffirelliana, limitando i momenti monumentali, operistici ad istantanee illuminazioni capaci di veicolare oscuri presagi (lo sbalzo assunto dall’affresco nella scena che precede il dilagare dell’ultima piaga). “Il Principe d’Egitto” si differenzia dai kolossal anni ’50 anche per la pressoché totale assenza di tracce dell’ottimismo forzato e forzoso tipico del filone religioso made in Hollywood: il dio d’Israele non è un padre amorevole (del resto siamo nell’ambito dell’Antico Testamento) ma un sovrano dall’autorità indiscutibile, che si manifesta a Mosè nei momenti di totale solitudine. La qualità visionaria, antinaturalistica delle apparizioni sovrannaturali può giustificare non solo un’interpretazione “eretica” del testo (si tratta di teofania o d’allucinazione?), ma anche una lettura psicanalitica (dio come SuperIo di Mosè, o come proiezione di un comprensibile desiderio di esplorare le proprie origini per trovare, finalmente, se stesso). Tutto bene, quindi? Non proprio, non del tutto. La componente “seria” dell’opera lo è un po’ troppo, tanto da portare ad un costante rischio di noia. A parte la scena finale, zuccheroso e comprensibile (seppure non scusabile) scivolone, sono molti i momenti in cui i personaggi parlano e si muovono con una solennità persino eccessiva, che non si concilia del tutto con l’evidente intenzione di realizzare un cinema d’animazione serio ma non retorico, grandioso ma sobrio, credibile. Buon tentativo, comunque.