Drammatico, Epico, Recensione, Storico

IL PRIMO RE

TRAMA

Due fratelli, soli, nell’uno la forza dell’altro, in un mondo antico e ostile sfideranno il volere implacabile degli Dei. Da loro sangue nascerà una città, Roma, il più grande impero che la storia ricordi. Un legame fortissimo, destinato a diventare leggenda.

RECENSIONI

Con Il primo re il cinema italiano si addentra in un territorio non esplorato e affronta una questione a lungo soprasseduta dalla nostra cinematografia: il problema dell’origine. Se una certa produzione popolare in altre aree culturali del mondo frequenta regolarmente l’interrogativo – pensiamo ai wuxia cinesi sulla fondazione dell’impero o alla Scandinavia delle saghe vichinghe – nel contesto italiano il nuovo film di Matteo Rovere si presenta come un unicum. Pur guardando a modelli imponenti (fra i più citati Apocalypto e Valhalla Rising, ma anche Il trono di spade e Revenant), il film opta per una propria via di espressione e risoluzione delle dinamiche narrative, in cui è la particolarità del contesto culturale (e produttivo) a sancire l’ambiziosa originalità del progetto.
Rovere si spinge alla ricerca del punto di genesi da cui seguirà la fondazione di Roma e, in senso più ampio, l’instaurazione delle nostre fondamenta storico-culturali. Tenendo salde le linee fra mito e storia, anche grazie ad una precisa ricerca filologica alla base della sceneggiatura, il film essenzializza la narrazione attorno al rapporto fra i fratelli leggendari, Romolo e Remo, e la loro fusione tragica e amorosa che diventa lotta fra due opposte modalità di essere nel mondo. L’escalation di hybris di Remo è il motore del film. Inizialmente una figura docile, fratello devoto votato alla cura e alla protezione di Romolo ferito, è con la lotta a mani nude che si impone nel gruppo e si auto-investe del ruolo di capo. La sfida di Remo all’ordine delle cose non accetta l’imposizione di confini: è il rivoluzionario furente, l’iconoclasta impavido, il condottiero indomito che non si accontenta di piegare al suo volere uomini e natura, ma ambisce a detronizzare gli dèi per farsi dio lui stesso. Romolo è al contrario l’uomo pio, portatore di una mitezza che si fa giustezza morale: nel momento in cui, con il sangue, conquista il potere sacrificando il fratello, non dimentica che è stato proprio lo spargimento di molto altro sangue ad aver reso possibile l’affermazione della sua ipotesi pacifica.

L’ambizione de Il primo re non si limita all’epica del soggetto, ma si gioca soprattutto nelle scelte tecniche e formali messe in campo nel racconto. Rovere opta per una messa in scena non adrenalinica, in cui si privilegiano le soluzioni d’ambiente, d’attesa, di relativa inerzia (fin troppo in certi passaggi, con una parte centrale un po’ stanca dopo l’ottima sezione iniziale). Il silenzio viene quindi spezzato da improvvise esplosioni di brutalità in cui si espone l’uomo nella sua natura animale, in cui si sublima il gesto ultimo per la sopravvivenza: la precarietà come caratteristica immanente dell’esistenza. Il mirabile uso della luce naturale nella fotografia di Daniele Ciprì è, in questo senso, fortemente funzionale agli obiettivi del racconto, donando all’immagine un acuto realismo sensoriale: le penombre fra la natura selvaggia della foresta, il fuoco sacro che arde, la luce che si abbatte sui corpi e li rende tangibili, presenti, reali. Sembra infatti che l’obiettivo principale di Rovere sia questo: rifuggire la dimensione unicamente mitica, quella che sfocia nel fantastico, sottolineando ad ogni passaggio il naturalismo estremo dell’approccio. L’uso innovativo del proto-latino va nella stessa direzione, sforzo non solo filologico di ricostruzione della lingua, ma anche di impostazione recitativa per cui, lontano dalla solennità dei testi classici, la lingua assume finalmente un suono, un incedere trascinato e impastato, fra il lamento, la preghiera e un’incredibile ipotesi di quotidianità.

Ma il mito della fondazione, la questione dell’origine, ingloba necessariamente una questione politica laddove la narrazione di come tutto è nato di fatto legittima costruzioni ideologiche e letture del futuro. C’è dunque una metafora politica da ricercare in questo film? C’è chi ci ha voluto vedere un’eco delle vicende politiche contemporanee. Altri hanno invece riflettuto sullo status migrante dei fratelli. Ma Il primo re decide di fermarsi a monte di tutto ciò, a-storicizzandosi senza intenti didascalici o allegorie del presente. L’operazione guidata da Matteo Rovere vuole innanzitutto essere un’esperienza immersiva che, tramite l’uso della tecnologia odierna, mira a restituire un contatto sensorialmente tangibile di un’epoca perduta (paradosso del realismo!). L’insidia della lettura politica, dell’utilizzo improprio delle interpretazioni, viene disinnescato dall’approccio essenziale del film, dalla sublimazione del racconto in un dualismo di attitudini e morali che, lungi dall’escludersi a vicenda, servono l’un l’altra alla ricerca di una fondamentale complementarietà.