TRAMA
Un cineasta inscena la propria morte, scambiando i propri documenti con quelli di un cadavere trovato in un cantiere, per approfittare della conseguente eco mediatica
RECENSIONI
Critico e saggista, autore della tarda Nouvelle Vague francese, attivo dal 1960 e responsabile di più di 25 film, tra cui il corto Le Litre de Lait (presentato nella sezione Detours), Luc Moullet è purtroppo cineasta pressoché sconosciuto in Italia (se si eccettua la retrospettiva dedicatagli dal Genova Film Festival un paio di anni fa), fautore di un cinema di raffinato e pungente umorismo, come questo Le prestige de la mort, opera di esilarante disillusione, briosa, graffiante, desolante. Moullet inscena la farsa di un sé stesso alle prese con il tentativo di trovare finanziamenti per la prossima opera, tratta da Disperate remedies di Hardy: il suo rimedio disperato è quello di fingersi deceduto per incassare le entrate sicure apportate da un’eco mediatica che cavalca inesorabilmente il prestigio della morte. Di un surrealismo radicalmente legato più alle assurdità della realtà che alla astrazione, Le prestige de la mort procede per quadri contigui, luoghi in cui sperimentare una comicità antica, che avanza per piccoli e demenziali scarti (l’acconciatura caricaturale che indossa il Moullet della fiction potrebbe addirittura diventare chiave di lettura, dato che l’autore/attore è molto più somigliante, nella realtà, al cadavere a cui ruba il passaporto) e per accumulo e reiterazione (il gag della cabina, che evidenzia la decisa influenza di Tati nel declinare il rapporto con la tecnologia), giocando con le parole (il gendarme che trova il finto cadavere di Moullet, alla lettura dei documenti: “Cineasta non significa nulla. Sarà uneasta, colui che unifica la cose”) e incentrandosi sulle variazioni (le due giornaliste TV, l’una il negativo dell’altra), marcando i controtempi e i fuori tono (le scene immaginate di Disperate remedies). Comicità lieve e crudele, semplice e di disarmante profondità intellettuale, al servizio di una rassegnata e feroce analisi in cui il supposto autobiografismo fuoriesce dal particolare, facendosi impietoso specchio delle relazioni umane e della perdita di identità.