TRAMA
1939: pianista apprezzato, Wladyslaw Szpilman subisce la tragica odissea riservata agli ebrei polacchi dall’occupazione nazista.
RECENSIONI
Quando non oggettivizza l'assurdo in farse crudeli o resoconti diabolici, Polanski lascia che la s(S)toria mostri da sola la propria insensatezza, la propria atroce, insostenibile matrice beffarda. Lo fa (vedi Tess) con una drammaturgia più piana, classica e implacabile (per efficacia dell'impatto emotivo e violenza allo spettatore). Il punto di vista è quello dell'artista fuori delle logiche materiali(ste), dell'osservatore cui tolgono la neutralità: gli occhi con cui ci (ri)mostra l'orrore dell'Olocausto sono quelli di un musicista che continua a suonare fra le detonazioni, senza feedback melodico, annichilito nell'impotenza, con l'innocenza stuprata dei vocaboli de Il Diario di Anna Frank. Wladyslaw Szpilman (dalle cui memorie il film è tratto) è, allo stesso tempo, fuori e dentro la s(S)toria, vive l'isolamento dell'artista (in molti si prodigano a salvarlo: è come se lo nascondessero a se stessi), dell'ebreo perseguitato, dell'uomo che non determina il proprio destino. Se Polanski fa autobiografia (torna anche a girare in Polonia dopo quarant'anni), non lo fa solo in veste di bambino cresciuto nel ghetto di Cracovia, ma anche di regista/artista e uomo che ha conosciuto la sofferenza: la sua "tastiera" è il ponte fra la realtà allucinante e l'allucinazione della realtà, costringe lo spettatore ad immedesimarsi con L'Inquilino del Terzo Piano (dopo l'odissea familiare e la fuga, Szpilman è voyeur dell'orrore dalla finestra di un appartamento) per perdere la dignità, stringere un bambino morto fra le braccia, essere testimoni di esecuzioni sommarie, omicidi paradossali (l'uomo in carrozzella) e quadri agghiaccianti (i bimbi nelle pozze di sangue). L'occhio lucido e sanguinante nel cielo (spettatore/protagonista/regista) perde la parola (resta la musica), la retorica (politica, ideologica, rabbiosa) e vive la beffa di un girone infernale dove gli aguzzini ti salvano e i compagni ti sparano addosso non appena vesti una divisa. Polanski rimarca la follia dell'uomo tout-court e se ne tira fuori, ringraziando la fortuna (e nient'altro) d'essere ancora vivo e indipendente, per suonare un malinconico notturno al chiaro di luna.
