
TRAMA
Rimini e Sofia rompono il loro matrimonio: lui è pronto a una nuova vita, lei non accetta la separazione e continua ad inseguirlo.
RECENSIONI
Il passato è una storia d’amore nata durante l’adolescenza e sfociata in un matrimonio durato dodici anni e poi finito: la rottura per Rimini, più che un trauma, è una condizione da gestire, una situazione da preservare dagli attacchi della ex moglie: ogni tentativo di ricostruirsi, infatti, sembra destinato a essere frustrato. Dal tempo andato non ci si libera, esso ricorda tutto, rovina nel presente, è una droga che dà dipendenza (Rimini tira coca poggiandola su una foto di Sofia), la cui mancanza determina crisi di rigetto, improvvisi e violenti riavvicinamenti mai respinti del tutto, sempre dolorosi, portatori di disgrazie. Come le barche di fitzegeraldiana memoria, anche il protagonista è risospinto senza posa in un passato dal quale vorrebbe fuggire ma nel quale, una volta che si ripresenta, sembra affogare incoscientemente. Il passato di Rimini è sempre vicino a lui: costantemente prossimo, dunque, mai remoto. Non basta inanellare nuove esperienze in cui ogni donna è uno strato, anche pretestuoso, che va a sovrapporsi a quel blocco unico che è stato la storia iniziale (e iniziatica) con Sofia, la donna che vive mille volte, la cui disperazione è lucida e determinata, che torna e ritorna, che tesse la sua tela di memoria nella quale imprigionare l’ex marito, che vampirizza il suo presente privo di lei, ne fa materia da putrefare (La separazione può essere una cosa spaventosa ci ricorda Cronenberg…). Sulle amnesie di Rimini [1], sui suoi vuoti di memoria è allora ammissibile aprire un campo di ipotesi: da quelle ovvie della malattia (si parla di Alzheimer, ma il medico nega che vi sia qualcosa che non va), all’altra, più azzardata e attraente, di una forma di autodifesa dell’uomo nei confronti dei devastanti ricorsi di un passato che, somatizzandosi, va rimosso a ogni costo, fosse pure la perdita di quello che si fa (il proprio lavoro di traduttore e interprete) o di quello che si è: quanto più la donna vuole ricostruire ciò che è stato, tanto più l’uomo cerca di distruggerlo (ce lo dice anche il suo stile di vita che, dopo la rottura, muta radicalmente divenendo palesemente negatorio di quello trascorso). Del resto l’ombra della metafisica aleggia sull’intera storia d’amore dei due giovani: la santona Frida ne parla come di una coppia predestinata, la notizia della loro rottura sembra quella di un novello squilibrio cosmico, Rimini stesso sembra subire l’ineluttabilità dei “ritorni” non opponendovisi ma accogliendoli supinamente, quasi fossero inevitabili persino nelle loro deleterie conseguenze. Babenco, il cui esplicito riferimento (Adele H., ma non solo) è Truffaut (soprattutto per il modo in cui media i codici, che sono vari), traendolo dal’omonimo romanzo di Pauls, compone un melodramma, non privo di ironia, sul senso di colpa, il mostro che ognuno deve affrontare (che è la propria vita, che sono le proprie scelte), sulla tormentata ricerca di una sintonia tra quello che è la propria memoria di individuo e quella che è la sua esterna percezione, sulle differenze esistenti nella selezione dei ricordi da parte di ciascuno (poiché ciascuno elabora il proprio presente, in rapporto a quello che è stato, in maniera diversa): lo fa mediando tra gli scompensi di una sceneggiatura a volte sbrodolante, a volte fin troppo pronta ad accogliere soluzioni emblematiche, altre volte meglio calibrata, dipinta in tonalità terree (la fotografia è di Ricardo Della Rosa) e sorretta da un cast diseguale. Il film, dunque, sbilancia i registri e persuade solo a tratti - a tratti proprio no (la discesa negli inferi del protagonista è frettolosa fino all’incongruenza) - ma il finale, con Rimini che armeggia con il tempo che fu e seleziona solo le foto del passato (cfr. Memento) che vuole ricordare, inserendolo in una cartella e abbandonando tutto il resto dietro di sé (quella porta che si chiude verrà seppellita anche dal suo personale oblio in atto) è di efficacia secca e possiede una forza non indifferente.
