TRAMA
Benjamin Malaussène, impiegato come capro espiatorio in un centro commerciale, si ritrova coinvolto nelle misteriose esplosioni che si susseguono sul luogo di lavoro…
RECENSIONI
Usciva nel 1985 in Francia “Il paradiso degli orchi” romanzo di Daniel Pennac, prima opera della serie incentrata sulla famiglia Malaussène. Ventotto anni dopo assistiamo alla sua trasposizione cinematografica firmata da Nicolas Bary. In cerca di similitudini e discrepanze tra le due opere troviamo come primo fattore distintivo un modo di procedere nella narrazione e nella caratterizzazione dei personaggi diametralmente opposto. Il Benjamin Malaussène di Pennac è un personaggio umorale che negozia costantemente la propria statura di protagonista con il coro costituito dalla sua famiglia, variopinto tableaux di sorelle e fratelli, caratterizzati da doti eccentriche, piccole stranezze, gusti stravaganti e da una tenera ma risoluta fedeltà alle storie fantastiche che Benjamin crea e racconta, trasfigurando in un contesto di fiaba accadimenti del vivere quotidiano. Come contraltare alla sfera affettiva e domestica di Malaussène abbiamo il suo impiego di capro espiatorio al centro commerciale: vittima sacrificale sotto contratto per un sistema che ha fatto del contenimento studiato dell'imprevisto e dell'errore strategia redditizia e vincente. Questi elementi - famiglia e lavoro - costituiscono la misura dell'individuazione di Malausenne nell'immaginario di Pennac e gli forniscono la scintilla narrativa che dà il via al giallo degli orchi.
Poi c'è la versione di Bary per la quale il testo di Pennac diventa un orpello, un pretesto per arrangiare altro: si lavora per espianti, per campionamenti che si presentano come selezioni chirurgiche tratte dall'opera letteraria, sfruttando questi prelievi come tessere decontestualizzate dalle quali si finisce per arrivare ad un nuovo disegno d'insieme, anche se debole e sfilacciato. Si perde l'amalgama tra le parti ed ogni elemento rimane a sé, presente ma al tempo stesso isolato. La manipolazione è scoperta e dai contorni freddi, ogni nucleo narrativo sembra girare unicamente su se stesso incapace di collegarsi agli altri. Anche l'immaginario fiabesco e surreale di Malaussène non trova un luogo naturale adatto nel quale espandersi, cercando conforto in goffi slanci comici che si stemperano in breve tempo. Quello che sembra interessare Bary è una ricognizione attorno all'impiego di Malaussène e alla sua storia d'amore con la giornalista incontrata sul luogo di lavoro; poco importa se questo svilisce la coralità del racconto o se addirittura ne stravolge la direzione: il mistero degli orchi nel film è altra storia rispetto al romanzo. Si sostituiscono i suicidi con una serie di omicidi programmati, l'intreccio da giallo si tinge di rosa, i personaggi restano misere marionette mal gestite per un meccanismo congelato e incapace di restituire non tanto un sentire vicino alle pagine di Pennac, quanto piuttosto una propria atmosfera autonoma.