Drammatico, Sala

IL MISTERO DI DONALD C.

Titolo OriginaleThe Mercy
NazioneGran Bretagna
Anno Produzione2018
Durata101'
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio

TRAMA

Donald Crowhurst fu un velista amatoriale che partecipò alla “Golden Globe Race” del Sunday Times nel 1968, con la speranza di diventare la prima persona nella storia a circumnavigare il globo in solitaria senza soste. Con una barca non completamente pronta, e la propria casa e il lavoro a rischio, Donald lasciò la moglie Clare e i loro tre figli imbarcandosi, non senza esitazioni, nell’avventura a bordo del trimarano Teignmouth Electron.

RECENSIONI

Ci sono storie che sembrano fatte apposta per essere raccontate. È il caso di quella, vera, di Donald Crowhurst, ingegnere curioso, marito devoto e padre amorevole che decide di cimentarsi in un’impresa tanto sfidante quanto assurda: circumnavigare il globo terrestre sulla propria imbarcazione, senza soste e, soprattutto, senza esperienza. Idea folle e avventurosa che James Marsh, sulla scia del precedente La teoria del tutto, riveste di altrettanto pallore, concentrando tutta l’attenzione sul protagonista Colin Firth. La dedizione alla causa di un bravo interprete, capace di rivestire di umanità il personaggio, non è però sufficiente per dare spessore a un racconto che scorre lineare, piatto e poco avvincente. La sceneggiatura cerca di bilanciare il contesto storico (siamo in Inghilterra nel 1968), le implicazioni avventurose e il peso degli affetti, ma la regia fatica a fare da collante perché finisce per non privilegiare nessun aspetto optando per una visione d’insieme soprattutto illustrativa. L’aspetto più affascinante è il mistero che avvolge, non tanto la fine di Crowhurst, in fondo facilmente deducibile, quanto le motivazioni alla base della sua decisione di intraprendere una sfida così ardua e persa in partenza. La sceneggiatura prova a buttare lì qualche esca ma non ne approfondisce nessuna (i debiti, la voglia di garantire alla famiglia una vita agiata, il bisogno di riconoscimento, un ego a lungo soffocato ma in realtà smisurato, la curiosità), ha il merito di evitare facili psicologismi, però non riesce a dare abbastanza rilevanza ai lati oscuri del protagonista (in questo senso il volto rassicurante di Firth non aiuta il personaggio). Per mostrare i suoi conflitti interiori la regia alterna flashback e visioni oniriche, tutti improntati a un sentimentalismo di maniera, alla voce dello stesso protagonista che sembra dare concretezza ai suoi pensieri unicamente per renderli decifrabili allo spettatore.

Forse la chiave di lettura più consona è quella suggerita dal titolo originale, quella “pietà” (mercy), ultima parola scritta da Crowhurst nel diario di bordo, che nella traduzione del titolo per l’Italia cede il posto al “mistero”, e che invece è il punto focale dello sguardo del regista verso le debolezze e la strada senza uscita imboccata dal protagonista. Gli agganci per stimolare un’empatia, però, cadono nel vuoto e il dramma si consuma nell’indifferenza. In linea con tale visione improntata alla misericordia e all’indulgenza è anche la complicità della moglie di Crowhurst, che sembra capire ma assecondare. In tal senso le esitazioni negli sguardi di Rachel Weisz dicono più di mille parole. Peccato per quella stridente invettiva finale contro il cinismo della stampa e la manipolazione dell’informazione operata dai media che arriva fuori dalle corde del personaggio e più in linea coi nostri tempi che con quelli in cui è collocata la vicenda. Nel complesso una materia vibrante, ricca di possibili spunti, affrontata con sensibilità ma senza trovare nella forma cinematografica adeguato risalto.