TRAMA
1958: la mamma è in ospedale, il padre porta le due figlie Mei e Satsuki in campagna. La più piccola scopre un sentiero nella foresta, dove incontra un buffo animale gigante, che chiama Totoro (storpiando tororu, giapponese per “troll”).
RECENSIONI
È un sogno ma non è un sogno, è un film per bambini, ma è un film adulto. Miyazaki, a differenza di altre sue opere, scopre tardivamente l’universo fantastico partendo da quello ordinario, ma resta fedele alla propria poetica, con protagonista femminile (qui sdoppiata ma con “unico nome”: Satsuki è antica parola giapponese che sta per Maggio, Mei è la pronuncia dell’inglese May), spiriti della natura ed ecologismo, tracce autobiografiche (la madre di Miyazaki è stata in ospedale per nove anni, malata di tubercolosi), cura sublime nei fondali dipinti, verdissimi e sormontati da cieli azzurri, realismo ineguagliabile nelle espressioni e nei gesti (Satsuki è adorabile, quando imita la più grande, piange o si addormenta in piedi). La soggettiva dell’infanzia è il tramite ideale per scoprire Natura e Magia, dal microcosmo accede col cuore ad altri mondi fiabeschi, partecipi ma invisibili (i piccoli esseri pelosi di fuliggine che infestano la casa, buoni con chi è buono). Il Paese delle Meraviglie si fa strada lentamente (non a caso, i troll sono come una matrioska), seguendo una scia di ghiande, per arrivare alla tana delle farfalle e all’enorme, accogliente peluche su cui addormentarsi: un colpo di genio l’aver tolto la parola a Totoro, copertina di Linus che dice e dà già tutto, anche nella sana follia (i sorrisi da pazzo). Un’opera immensamente evocativa di quella beatitudine, ingenuità, assenza di senso del pericolo, bisogno di coccole e predominio della fantasia sulla realtà della fanciullezza. E la dolcezza è infinita. Il tema “adulto” è quello di un’infanzia abbandonata che trova le carezze altrove: quando il padre tarda a tornare a casa, c’è una splendida, buffissima scena in cui Totoro si accosta alle bimbe impassibile, divertendosi (sempre con calma, sottotono) a giocare con le gocce di pioggia. Diventa una figura ancestrale che veglia sulla loro sicurezza, è Miyazaki che apre le porte della salvifica immaginazione (il gattobus, Totoro-Mary Poppins) e dona loro le ghiande del ciclo vitale, perché nella Natura non si è mai soli. Forse è tutto un sogno, ma può salvare la vita (quella della mamma, quella della piccola scomparsa).