TRAMA
Claire Millaud, una docente universitaria sulla cinquantina e con due figli, ha una relazione con Ludo, un uomo più giovane di lei che la desidera sessualmente ma che poi non condivide altro. Claire ha un’idea: crearsi una falsa identità su Facebook. Entra così in contatto con Alex, un giovane fotografo che collabora con il suo amante.
RECENSIONI
Non avendo una grande familiarità col lavoro del regista francese Safy Nebbou (fra i suoi lavori L’autre Dumas, dedicato alla storia di Auguste Maquet, braccio destro di Alexandre Dumas père, nonché co-autore di alcuni dei suoi titoli più celebri) e non conoscendo il romanzo di Camille Laurens da cui è tratto (pubblicato in Italia da E/O col titolo Quella che vi pare), a incuriosirmi di Celle que vous croyez (diventato da noi Il mio profilo migliore) sono stati la presenza nel ruolo principale di Juliette Binoche e il tema affrontato, ovvero quanto i social network influenzino la sfera relazionale non solo nel mondo dei giovanissimi.
Lanciata nella prima metà degli anni ottanta da Godard e Téchiné, Juliette Binoche è diventata un’attrice di culto grazie al breve ma intenso sodalizio (non solo artistico) con Leos Carax. Diventata un volto noto a livello internazionale grazie a produzioni importanti, dirette fra gli altri da Louis Malle, Philip Kaufman, Anthony Minghella o Lasse Hallström e spesso distribuite dall’ormai famigerata Miramax dei fratelli Weinstein (abilissimi nell’intercettare i gusti del pubblico medio-colto), la Binoche ha utilizzato la notorietà per costruire una filmografia che è un vero e proprio who’s who del gotha autoriale contemporaneo. Infatti negli anni si è fatta dirigere da Kieslowski, Hou Hsiao Hsien, Abbas Kiarostami, Claire Denis, Cronenberg, Naomi Kawase, Assayas, Ferrara, Chantal Akerman e, recentissimamente, Koreeda Hirokazu (e la lista potrebbe continuare). Ha ricevuto i riconoscimenti più prestigiosi, dall’Oscar al Cesar, ottenendo inoltre il premio come migliore attrice nei tre festival cinematografici principali, Cannes, Venezia e Berlino. Col tempo si è specializzata nel regalarci ritratti di signore mature, consapevoli della propria seduttività ma non per questo immuni da momenti di crisi. In questo gruppo rientra perfettamente Claire Millaud, la professoressa universitaria interpretata nel film di Nebbou.
Il mio profilo migliore inizia come un dialogo a due fra Claire e la apparentemente distaccata dottoressa Bormans (la veterana Nicole Garcia), una psicologa alla quale la protagonista si rivolge per ragioni che si chiariranno con il prosieguo della storia. Contrariamente alle consuetudini, è la Bormans a sentirsi rivolgere una domanda dalla paziente inerente l’uso dei social, che, come vedremo hanno un ruolo cruciale nella trama. Questa identificazione di una donna passa proprio attraverso la rete: Claire è divorziata (l’ex marito è interpretato da Charles Berling e appare fugacemente), ha due figli in età scolare e sta vivendo una relazione aperta con un uomo parecchio più giovane (se la cosa può ancora sembrare strana è solo perché il cinema, come del resto il costume, sono stati troppo impegnati a farci familiarizzare esclusivamente con la situazione inversa) di nome Ludovic (Guillaume Gouix). Quando però si rende conto che l’amante sta prendendo le distanze, Claire, ferita nell’orgoglio, decide di crearsi un falso profilo su internet, col quale si spaccia per una bella ventenne di nome Clara Antunes (in omaggio allo scrittore portoghese António Lobo Antunes e in generale all’amore della protagonista per la letteratura) per fare nuove conquiste. E’ il fotografo Alex (l’emergente François Civil), migliore amico e confidente di Ludovic, a diventare il gioco di Claire/Clara e a perdere la testa per lei. Claire all’inizio sembra solo divertirsi in questa avventura virtuale ma il suo coinvolgimento si farà via via più profondo. Intanto la dottoressa Bormans scoprirà che non tutto è così chiaro nel passato della professoressa, in particolare il ruolo di Katia, una misteriosa nipote (Marie-Ange Casta, sorella della più nota Laetitia).
Il film, presentato fuori concorso alla Berlinale 2019, funziona soprattutto nella costruzione del personaggio principale, che passa dal fragile al manipolatorio e che la Binoche, attrice sempre dalla forte personalità anche quando deve interpretare caratteri ipersensibili, rende interessante grazie ad un misto di sex appeal, decisione e un pizzico di autoironia. Per apprezzare maggiormente il risultato finale è necessario prendere per buoni anche alcuni passaggi piuttosto ingenui (come ad esempio la scena in cui la protagonista rischia di essere trovata dall’amante grazie allo smartphone che puntualmente ne segnala la posizione), ma resta comunque interessante il voler affrontare, anche se in chiave romanzesca, una problematica decisamente attuale.