Drammatico

IL MATRIMONIO DI LORNA

Titolo OriginaleLe silence de Lorna
NazioneFrancia/Gran Bretagna
Anno Produzione2008
Durata105'
Fotografia

TRAMA

Assolto il “matrimonio bianco” con il tossicodipendente Claudy per ottenere la cittadinanza belga, l’albanese Lorna si ribella al futuro di morte che attende il marito: un’overdose pianificata per sbarazzarsi di lui e risposarsi con un russo per il solito scopo.

RECENSIONI

Meno concitate, meno rabbiose del solito (la cinepresa super 16mm è stata rimpiazzata da una più pesante 35mm), le inquadrature dei fratelli Dardenne stanno incollate alla tenacia di Lorna (Arta  Dobroshi), oggetto che lotta per farsi soggetto, corpo che accumula ed elabora il dolore. Il matrimonio di Lorna è l’ennesimo racconto morale dei fratelli valloni, ma, a differenza de La promesse o L’enfant, l’evento che schiaffa di fronte allo shock della responsabilità è stato sostituito dalla gradualità dell’elaborazione etica. Il trauma che costringe a prendere posizione e a comportarsi di conseguenza è stato assorbito da un processo meno eclatante e vistoso: la silenziosa gratuità delle relazioni. Lorna è considerata oggetto di scambio, meccanismo di un ingranaggio economico da cui lei stessa trae vantaggio: comprare il matrimonio, liquidare il marito tossico inducendolo a un’overdose e risposarsi subito dopo con un extracomunitario come lei fa parte di una logica schiacciante che non lascia spazio a scrupolo alcuno. In fondo è solo un drogato che crepa, il mercimonio deve cancellare ogni debolezza: la legge del mercato assicura l’infallibilità del sistema. Domanda, offerta: nessuna ambiguità, nessuna incertezza. Eppure Lorna vive insieme a Claudy (Jérémie  Renier), assiste quotidianamente alla sua snervante fragilità, alle sue patetiche richieste d’aiuto. Segretamente Lorna percepisce in questo grado zero della relazione qualcosa di diverso dalla logica che regola tutti gli altri rapporti, non escluso quello col fidanzato Sokol (Alban Ukaj). Improvvisamente Lorna si spoglia e si avvicina a Claudy con disarmante, incondizionata gratuità, aprendosi così ad un altro modo di concepire i rapporti: è uno dei passaggi più toccanti e rivoluzionari (proprio così, rivoluzionari) che il cinema contemporaneo abbia prodotto. Nel chiuso di un appartamento di Liegi si consuma un attentato alla logica economica che condiziona i rapporti sociali, segnando così il definitivo ed irreparabile strappo tra la protagonista e il mondo che la circonda. Niente ci ha fatto prevedere questo gesto: le ragioni stanno fuori campo, devono germinare nella coscienza dello spettatore, ogni spiegazione sarebbe immorale. Lorna si è gradualmente emancipata dallo status coercitivo di oggetto trasformandosi in soggetto autonomo, non più manovrabile da uomini-mercanti come Fabio (Fabrizio  Rongione) o Sokol (anch’esso totalmente sovradeterminato dal denaro). Ma, circondata dalla loro cieca ostilità, non ha altra via di fuga che partorire una speranza allucinata: un bambino immaginario da custodire nel suo grembo e cullare nell’intima convinzione di trovare, altrove, qualcuno che li aiuti. In questo solitario percorso di rigenerazione morale, i Dardenne sottraggono i nuclei drammatici più eclatanti e tracciano una narrazione di lancinante essenzialità, lasciando agli spettatori la facoltà di colmare le lacune e ricostruirne personalmente il senso. Premio per la miglior sceneggiatura al 61° Festival di Cannes, Le silence de Lorna è un’opera di prodigiosa e straziante esattezza in cui la scrittura si fa strumento di liberazione. Della protagonista come dello spettatore.

Il cinema dei fratelli Dardenne è caratterizzato, fin dagli esordi, da due forze opposte: la prima, retaggio della stagione documentaristica, spinge i registi a mostrare una realtà, la seconda li induce a spiegarla, chiosarla, valutarla. Dallo scontro fra queste due forze nasce la tensione, e quindi la bellezza, di questo cinema, tensione che ne Il matrimonio di Lorna appare come trattenuta, appannata, spenta, proprio perché una delle due forze, quella “didattica”, prevale nettamente sull’altra. Il mercantilismo che struttura i rapporti fra i personaggi (vedi l’impeccabile contributo di Baratti) è in primo piano fin dal prologo in banca e lì è destinato a rimanere, ma proprio l’auto-evidenza di questo elemento rende superflua la sua presenza letteralmente in ogni scena. Così, il legame più evidente fra Claudy e Lorna è dato dai soldi del sussidio di disoccupazione, che lei amministra e cede con parsimonia, per poi affidare la busta a lui che preferisce rifiutarli, accettando solo i soldi necessari per la spesa; il primo pensiero di Lorna, quando crede di essere incinta, è aprire un conto corrente intestato al bambino; Fabio tenta di acquietare i sensi di colpa di Lorna fornendole un extra sul compenso pattuito e la separazione fra Lorna e Sokol si consuma nel segno del risarcimento per l’affare sfumato. Il tutto preparatorio alla fuga di Lorna, che, finalmente libera (parrebbe) dalla schiavitù dell’euro, fugge lasciando la borsa nella macchina del malcapitato sicario. L’Enfant ci aveva fatto capire (non senza macchinosità) che il prezzo delle cose è meno misterioso del loro valore, ma stavolta i fratelli D. scambiano la prolissità per eloquenza e l’apologo vira verso la lezione, anzi, il corso di recupero. Persino i dialoghi scarni possono essere ridondanti: passi per le scene fra Sokol e Lorna, che in certa misura devono essere parodia di scene da fiction, onde contrastare adeguatamente con il rapporto silente e tanto più intenso fra Lorna e Claudy, ma Lorna che parla al figlio “impossibile” è una forzatura, nel quadro di un epilogo che, col semplice ricorso all’en plein air che il resto del film ignora o relega a sfondo notturno, esprime già perfettamente tramite le immagini lo smarrimento, la follia e la forza del personaggio. Non parliamo poi del personaggio di Fabio e dei suoi sproloqui a favor di macchina da presa: sproloqui che, intendiamoci, non sarebbero neppure malvagi in sé, se non si collocassero all’interno di un film che fa del non detto (meglio, dell’indicibile) la propria struttura portante (ri-vedi Baratti) e che nel mutismo di sequenze spoglie (la “violenza coniugale” di Lorna, la ciotola di Claudy) e raccordi brucianti (Lorna prima e dopo l’overdose fatale) avrebbe la propria carta vincente.