TRAMA
Tiago, autista, accompagna il suo padrone attraverso un allucinato Portogallo raccontandogli le proprie imprese erotiche: finirà col dare libero sfogo alla propria visione del mondo, ricambiato dal passeggero in un inseguirsi di racconti e impressioni fatto di sottili corrispondenze e distanze incolmabili, tra filosofia, fatalismo e lotta di classe.
RECENSIONI
Botelho afferma che quando si adatta un libro si adotta un luogo ed è uno strano Portogallo quello attraverso il quale lautista, protagonista del film, conduce il suo padrone. Nel girovagare quasi bunealiano di questi due bizzarri personaggi si inseriscono le narrazioni multiple delle storie amorose di Tiago immerse in un mondo in cui le classi vengono a confliggere, si filosofeggia allegramente o tristemente, la vita scorre sui binari di un destino che è gabbia ed alibi, comunque ritornello rassicurante (Tutto il bene o il male che succede quaggiù è scritto lassù). Il film è tratto da Diderot, (scrittore e filosofo che voleva illuminare il potere, visto come nemico irriducibile del progresso, così come nel film il servitore vuole illuminare il padrone - chi è povero può non avere ma sapere, e il sapere è potere -) nella cui opera il regista ritrova la rivoluzionaria invenzione di processi narrativi che ben si sposano al suo cinema: la voce del narratore onnisciente indica anche percorsi tramici alternativi, destabilizzando lo spettatore e coinvolgendolo in una narrazione che si biforca, si apre a situazioni e personaggi sempre nuovi, senza rigide coordinate spazio-temporali per giungere al finale autoreferenziale in cui il regista sceglie di mostrare il (destino al) lavoro sul testo e il suo divenire cinematografico.Così Botelho: Jacques, Le Fataliste è unopera vertiginosa e radicale, con una struttura ed una scrittura che riescono a trasmettere la sensazione euforica che tutto è possibile.Prodotto da Paulo Branco, O Fatalista è in effetti un film libero come il romanzo cui si ispira, che alterna serietà e divertimento, sempre nel segno di uno stile austero (si guardi la severa messinscena, la cura pittorica delle luci, la studiata recitazione) e che incanta soprattutto nella seconda parte (cfr. Perfidia di Bresson), unopera che proclama a gran voce la propria indipendenza (in molti casi la povertà, nel cinema, è la vera ricchezza, poiché lo dimostra proprio lirriducibilità della cinematografia portoghese consente allautore di godere del lusso più grande, quello della libertà creativa) e il suo inevitabile destino elitario.
Da un testo di Diderot, il film di Botelho si getta a capofitto nella ragnatela del Destino: tutto quello che accade quaggiù è scritto lassù, suole ripetere il servo Tiago dinanzi alla catena di eventi che i personaggi affrontano, ricordano, narrano. La prima parte, sullo stilema dellon the road, è disseminata di sapida ironia velata da un alone di sovradeterminazione cosmica: costringendo il film in un impianto teatrale Botelho è un De Oliveira meno rigoroso e più frivolo, tratteggiando con maggiore dinamismo del maestro graziose deviazioni nel territorio del nonsense (lincidente automobilistico
voluto o fatale?) e delineando le sue figure attraverso una parlantina lievemente ripetuta. Nonostante la tenuta impressionante della coppia (Samura e Gomes si trovano a memoria) il canovaccio tramico rischia ripetutamente lo schematismo, allinsegna del solito ritornello filosofico, luomo e il Fato, che rischia di diventare facile tormentone; straordinaria invece la seconda ed ultima parte, in cui la storia si trasforma e segue le vicende di una donna disperata che mette in trappola il marito. Qui emerge lestro visionario del regista, capace di estrarre da un passo in controluce sul pavimento un quadro dineffabile bellezza, che disserta liberamente sulla crudeltà dellessere umano, la mendace apparenza del rapporto tra sessi, la linea invisibile tra errore e rettitudine. Rilettura di raro acume del classico francese (lincrocio tra sfondo attuale e gergo settecentesco provoca un gustoso contrasto), e conferma di una cinematografia che scoppia di salute, O Fatalista azzecca la metafora universale recuperando a tratti la dialettica stessa della vita quotidiana.