TRAMA
In un campo di concentramento nazista, il falsario Sally Sorowitsch sopravvive facendo ritratti. Un gerarca inizia a sfruttarlo, assieme ad altri prigionieri ebrei, per falsificare sterline e dollari con cui piegare il sistema economico del nemico. Un collega comunista lo esorta a boicottarlo.
RECENSIONI
Adattando il libro autobiografico di Adolf Burger (il comunista interpretato da August Diehl), questa pellicola dell’austriaco Stefan Ruzowitzky vive, prima di tutto, della fisicità del suo straordinario protagonista, un Karl Markovics (diventato noto con la serie Tv “Il commissario Rex”) ostico e contrito, con tipo cinematografico alla Humphrey Bogart. La professionalità della messinscena è indubbia: Ruzowitzky non si limita alla ricostruzione di un fatto storico fra eroi e cattivi, ma dona alla figura protagonista i tratti simbolici della necessità della sopravvivenza ad ogni costo, di contro all’idealismo indossato fino alla morte. Emerge, cioè, l’inconsueto imperativo che sopravvivere è un dovere: il falsario, infatti, pur dotato di coscienza e non vigliacco, fa i propri interessi. Il discorso di Ruzowitzky è ambiguamente scomodo, quasi un’accettazione del collaborazionismo, anche perché dipinge gli eroi (quelli che non temono la morte) come esseri vinti dal dolore della perdita dei propri cari, più che idealisti. Alla luce, però, di una parte finale che dichiara quasi l’esatto contrario o sceglie l’indeterminatezza di senso, resta il dubbio di non aver assistito ad una lucida, sfaccettata scelta provocatoria, ma ad una sua claudicante resa drammaturgica. Ciò non toglie che il percorso sia affascinante, anche per le regole d’onore e filosofia da giungla del criminale (che, infatti, se la intende con i nazisti) e per il tema dell’Arte che addolcisce la misera condizione nel campo di concentramento (come ne Il Pianista di Roman Polanski, quando si parla di pittori e creativi, l’opera vola in lidi più soavi). Oscar al miglior film straniero, il primo vinto dall’Austria.
