Drammatico

IL DONO

TRAMA

Caulonia (Calabria). Un anziano solitario trova casualmente un telefono cellulare e una foto pornografica.

RECENSIONI


Un film quasi muto che ricorda Kiarostami, girato in camera fissa, a capofitto nel Sud rurale e apparentemente inespressivo: c’è un vecchio, un giovane, un cane malmesso e una puttana. Insomma la routine dell’entroterra, con la cinepresa che non segue mai le figure ma le immerge nel paesaggio smarrendole volutamente fuori campo, preferendo soffermarsi su quadri cromatici come un albero al tramonto. La visuale è ferma, gli uomini la attraversano senza meta. Michelangelo Frammartino gira all’esordio una miniatura da 5.000 euro, affidando al nonno il ruolo dell’anziano protagonista, e riesce nel miracolo di estrarvi spiccioli impazziti di poesia. Se la prima parte, preparatoria, accarezza un velo di maniera, l’autore prosegue però nella strenua scelta iperrealista sino alla sconcertante agnizione finale; l’ultima congiunzione figurativa definisce il ruolo delle maschere pellicolari e completa il senso del narrato. Il Dono è un indugio mortuario, disseminato di indizi decadenti: il vecchio è giàcadavere per postura e fisionomia, le bestie scompaiono drammaticamente (il cane, il pollaio), la linea d’aria del paese viene tagliata dal repentino passaggio di un carro funebre. I simboli religiosi risultano rosi e progressivamente divorati dalla propria antitesi e, formando l’inquieto binomio santi/fanti, svelano infine il reale significato del titolo.
Dopo la presentazione in vari festival, è ancora una volta l’essenziale programma di Enrico Ghezzi a rendere visibile un’opera testarda e orgogliosa, un lampo fuori dai soliti circuiti che sarà giudicato arduo solo per l’occhio più drogato dal dogma televisivo.