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TRAMA
La signora Doyle si trasferisce insieme ai due figli in una zona rurale della California per gestire la società di Pompe Funebri dei deceduti Fratelli Flower. I Doyle scopriranno presto che la casa e l’annesso cimitero nascondono un terribile segreto.
RECENSIONI
La distribuzione italiana conferma la sua miopia. Risulta poco chiaro, infatti, il motivo per cui un onesto film horror come Toolbox murders non sia mai uscito, nemmeno in home video, mentre il brutto Il custode riesca a trovare la disponibilità di addirittura 176 sale. Entrambi i lungometraggi portano la firma di Tobe Hooper, ma se Toolbox murders (2004) riesce a spaventare con grezza efficacia, Il custode (2005) si limita a raschiare il fondo del barile del genere horror. Siamo lontani anni luce dalle schegge di follia che hanno destabilizzato l'immaginario con Non aprite quella porta (1974), o dalla solida capacità di disseminare brividi anche in una grande produzione come Poltergeist (1982). Ne "Il custode", infatti, si annaspa nel vuoto. La sceneggiatura abbozza con poca convinzione un nucleo familiare formato da madre imbalsamatrice, figlio adolescente e bambinetta con orsetto. Non si capisce bene cosa li porti a intraprendere un viaggio di 26 ore (non basta certo un dialogo appiccicato a inizio film a motivare personaggi e spettatore) per raggiungere una desolata area rurale e stabilirsi in una casa semi-distrutta a fianco di un cimitero. Gli elementi cari al genere ci sono tutti: la villa maledetta, i cunicoli bui, le porte cigolanti, le ombre improvvise, le tombe di ogni foggia, il morto deforme che forse non è morto, gli zombi, il contagio, anche un po' di splatter. Tutto, però, è buttato lì senza una ragione e il regista texano non riesce a trovare uno stile in grado di fondere con organicità lo humor nero previsto dal copione con la presunta tensione dei momenti orrorifici. Si attende invano che qualcosa accada, ma sia la preparazione, con una vita di provincia piena zeppa di luoghi comuni e personaggi stereotipati (o poco efficacemente in fuga dallo stereotipo come la madre tassidermista per caso), che lo sviluppo, non destano il minimo interesse. La colpa, grave, non è solo dello sgangherato copione, ma anche di una messa in scena alquanto approssimativa che, pur evitando la plastica dei sovrapponibili teen-movie ora imperanti, manca clamorosamente il bersaglio. Con tutta probabilità i limiti del budget hanno avuto il loro peso, ma non sono sufficienti per giustificare scenografie da parco giochi, una fotografia dai toni inutilmente bluastri, una recitazione spesso esagitata, inserti digitali vergognosi, effetti sonori a casaccio e una imperdonabile sciatteria diffusa. Anche la cattiveria insita nel nucleo familiare, ancora una volta permeabile al male, non arriva a scalfire. L'assenza di logica potrebbe invece avere un suo valore liberatorio, ma l'insieme non è abbastanza trash da distinguersi o da sottintendere una fantasia compressa e risulta semplicemente inguardabile. Meglio, molto meglio, la puntata Dance of the dead, diretta sempre da Hooper per la gustosa serie televisiva Masters of horror. Speriamo, a questo punto, che la distribuzione affini le sue capacità di discernimento e colga l'opportunità anziché affidarsi, come troppo spesso accade, al primo fondo di magazzino a prezzo di saldo.