Drammatico

IL CRISTO CIECO

Titolo OriginaleEl Cristo ciego
NazioneCile / Francia
Anno Produzione2016
Durata85'
Sceneggiatura
Fotografia

TRAMA

Michael (Michel Silva), da bambino si è fatto trafiggere le mani con due chiodi dal suo migliore amico, come segno della propria identificazione con il Cristo, a seguito di una rivelazione. Da adulto lascia la propria casa e si incammina, scalzo, attraverso il deserto cileno, dispensando storie come parabole, atti di comunione fraterna, diretto verso l’amico malato per compiere un miracolo che non avverrà.

RECENSIONI

Su El Cristo Ciego, potenzialmente, ci sarebbe moltissimo da dire e da riflettere e dibattere e argomentare. A partire dal titolo che, già solo introducendo il tema cristologico, si porta dietro tutte le possibili tematiche correlate alla salvazione, al sacrificio, all'incontro fra umano e divino, alla fede. La cecità, poi, ci consegna a un ulteriore mistero: è il 'non vedere' un atto di percezione superiore e di elezione (ricordiamo che la conversione di Paolo di Tarso avviene per accecamento dalla luce divina) o ci preannuncia un'effettiva e desolante inadeguatezza dell'uomo nella sua ricerca dello spirito, inaccessibile agli occhi, dunque soggetto a illusione e disillusione? E ancora: qual è il rapporto tra religione e povertà? Quale il confine tra superstizione e necessità di umano conforto nell'insorgenza di un culto spontaneo? Cosa separa, nell'autoimmolazione, lo spirito umanitario dal fanatismo? Il punto è che, tutto questo (e molto altro), il film non se lo chiede, anche se lo presuppone. Attraversa la quantità di temi a cui si aggancia così come il suo protagonista percorre il deserto: scalzo. Ma con un'ottima fotografia. Ossia, se ha il merito di non indugiare in deliri mistici, di non abbandonarsi a turpitudini che pure erano dietro l'angolo (la crocifissione volontaria, per esempio, che ricalca molte delle pratiche rituali di automortificazione corporale diffuse in tutto il mondo), se ha l'ulteriore merito di abbracciare la terrena concretezza di un cammino, di una scelta umana prima ancora che religiosa, di offrirsi a piedi nudi guardando alla sabbia e alla desolazione ben più che al cielo, a una speranza che viene dall'altro più che dall'alto, nemmeno però riesce a consegnarci un messaggio forte e anche il suo carattere mestamente umano e pauperista è raffreddato dalla lenta cura di una messa in scena statica. Per cui, in 85 minuti che sembrano serenamente il doppio, fra la trama principale e le storie esemplari-parabole che il protagonista ci racconta, pur sfiorando, accanto alla trama di finzione, spunti documentaristici per luoghi e persone che vi partecipano, ci accorgiamo di assistere a un film non più che descrittivo che offre mille sottotesti, ma non si apre realmente ad alcuno. La scoperta finale della propria semplice e misera umanità, nella sua invalicabile impotenza, procura invece un momento di desolante crollo di fiducia che sfiora l'empatia; e resta la parte migliore del film. Insieme alla dedica agli abitanti del Tamarugal. Neanche l'intensa severità del volto del protagonista Michael Silva riesce a creare un'effettiva partecipazione. Nella sua asciuttezza, tuttavia, il film sembra il contraltare del cileno La pasión de Michelangelo (2012) di Esteban Larraín (che non è parente di Pablo), con cui ha in comune il percorso paradigmatico di un singolo, con esito demistificante, ma si distanzia completamente dalla metafora che fa di quest'altro un film politico, retrodatato e con toni di commedia, dove invece Christopher Murray sceglie la durezza presente, contemporanea, del nord del Cile. Concorreva per il Leone d'oro nella 73. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia. Michael Silva invece lo rivedremo nel ruolo dello storico cileno Álvaro Jara in Neruda di Larraín, Pablo, come Neruda.