TRAMA
Un palazzo di periferia in una anonima cittadina francese. Un ascensore in panne. Tre incontri improbabili. Sei personaggi insoliti. L’aspirante fotografo Sternkowitz e l’infermiera, l’attrice in pensione Jeanne, il giovane Charly, l’astronauta McKenzie e la signora Hamida. Sei anime sole che si troveranno uniti da un grande sentimento di tenerezza, rispetto, compassione.
RECENSIONI
Adattando per lo schermo il suo romanzo Chroniques de l'asphalte, il regista-scrittore Samuel Benchetrit confeziona ne Il condominio dei cuori infranti (azzeccato - per una volta! - titolo italiano del troppo lapidario Asphalte originale) un racconto corale di solitudini urbane. Non particolarmente originale né stilisticamente né tematicamente, il film è però così preciso nei tempi e negli intenti, sottile nell'evocazione delle emozioni, perfettamente equilibrato fra ironia surreale, mestizia esistenziale e candido calore da riuscire a brillare (e non poco) di luce propria.
Nelle stanze e per le scale di un condominio sgarrupato, grigio in una qualsiasi periferia dismessa, Benchetrit orchestra gli incontri, due a due, di sei anima diversamente solitarie. Le incastra in un formato 4:3, quello triste e squadrato delle vecchie tv o dei monitor dei computer - scelta espressionistica condivisibile, senza furori teorici (l'indimenticabile 11:8 de Il figlio di Saul) ma neppure gratuità (l'irritante 1:1 di Mommy). L'invalido solitario che si innamora dell'infermiera triste (Gustave Kervern e Valeria Bruni Tedeschi), l'adolescente dimenticato che fa amicizia con l'attrice in crisi (Jules Benchetrit e Isabelle Huppert), l'immigrata araba che accoglie l'astronauta perso nello spazio (Tassadit Mandi e Michael Pitt) - piccole tristezze e quotidiane solitudini, tratteggiate con levità e assieme precisione. Colpisce una sceneggiatura essenziale che non si addentra in verbosi dettagli sulle specificità di ciascuna malinconia, ma è sufficientemente decisa da sapere caratterizzare i personaggi con una manciata di dettagli ben assestati. Questo gusto per il fondamentale permette a Benchetrit di navigare sicuro nel territorio spesso incidendato della surrealtà, senza sbandare né stonare (in accordo melodico con il bel motivo musicale ricorrente, pochi accordi di pianoforte composti dal musicista francese Raphael). E così anche il segmento potenzialmente più pericoloso, quello della signora immigrata alle prese con l'astronauta abbandonato dalla NASA, diventa un siparietto di fenomenale commedia umana, fra spassose gag linguistiche e momenti di clash interculturale, per ribadire l'universalità del sentimento, della compassione.
Un film che non mira a ridisegnare i generi e che qualcuno ha pure definito 'buonista'. Ma Benchetrit lo sa ed è proprio quello che vuole. Affastella così uno, due, tre lieti fine. Si esce dalla sala con il cuore pieno e un sorriso. E al cinema questo non è mai davvero poco.