Il cinema di Terence Young

Non solo 007
Come recita la quarta di copertina, è la prima monografia al mondo interamente dedicata al regista Terence Young: e questo è già di per sé un grande merito. La redige Mario Gerosa, insegnante di Multimedia al Politecnico di Milano e caporedattore di AD Architectural Digest. Prima di tutto un fan di James Bond, poi un critico (non professionista): da qui un’architettura del “saggio” di facile consultazione, suddivisa in aree tematiche, dopo un’appassionata Prefazione di Edward Coffrini Dell’Orto, presidente dello 007 Admiral Club, e una pretenziosa Introduzione di Dario PM. Geraci, che assurge il regista ad autore, invero con pochi argomenti.
_x000D_ Nessun approccio pomposo, un linguaggio semplice (anche troppo), colorito, artigianale e perspicace a specchio della personalità di Young._x000D_
L’intenzione di Gerosa è di sdoganare l'artista nato a Shanghai dall’epiteto “regista di 007” e, solo fra cultori, “anche di Sole Rosso e Gli occhi della notte”: senz’altro riesce a trasmettere la voglia di visionare le opere misconosciute che ritiene i suoi capolavori (Il mistero degli specchi e Londra a mezzanotte ), di sicuro non (ci) convince affatto della sua statura autorale (chissà perché in Italia non si può scrivere la monografia di un regista senza vergognarsi che sia solo un ottimo artigiano?), di sicuro non (ci) convince che c’era bisogno di 300 pagine per dire quello che dice.
Il volume comprende interviste allo scenografo Ken Adam (che fornisce dettagli e gossip preziosi), Ursula Andress, Alessandra Celi, Ennio Morricone (che dice la verità su Young ma Gerosa fa finta di niente: “Era un regista di grande pratica, forse non era un grandissimo artista…”), Luciana Paluzzi (che dice poco e niente), Aldo Zezza (il commercialista di Young!), e questo denuncia già la caratura di un’opera che, più che d’analisi filmica, vuol essere popolar/divulgativa. Eppure Gerosa, come Young, è ambivalente: a tratti stupisce per come scova un “fil-rouge” impensabile nelle opere del regista, dall’altro avvilisce nelle ripetizioni continue degli stessi concetti, con uno stile che, da piano diventa prolisso, elementare/discorsivo, come se non sapesse più cosa dire; da un lato denota una buona cultura generale (sa trovare paralleli fra l’opera filmica e le altre arti), dall’altro s’infila in paragoni improbabili (Mayerling come Ludwig! Young come Bellocchio, Hugo, Balzac, Dickens!); da un lato sembra avere le idee chiare, dall’altro entra in contraddizione quando dice che Young non va ricordato solo per i film con 007, ma infine questi ultimi sono gli unici di cui parla estensivamente, o quando ammette che certi (molti) suoi film sono mediocri e fa finta di niente, ripetendo in altre sedi che Young è un grande “autore”.
La botta finale la dà la parte più consistente del volume, che contiene le schede di tutti i film: dopo il cappello introduttivo, un fil-rouge dalla A alla Z, la classica biografia, le interviste e la filmografia sintetica, grandi sono le aspettative per quest’area, dove ci si aspetta un’elaborazione (più) esaustiva, una critica (più) pertinente, una ricerca (più) storico/filologica. Qualcosa, insomma, che vada oltre le “Curiosità” inserite dagli utenti nel sito di I.M.D.B. Invece: dei film in cui ha solo collaborato a vario titolo prima di diventare regista, Gerosa dice pochissimo, si limita a rinvenire in nuce le tematiche future di Young. Per gli altri, le sue regie, per lo più si limita a citare le filmografie degli attori coinvolti (!), mentre i concetti più interessanti scaturiscono dalle citazioni di critiche altrui.
_x000D_Sorge il sospetto che alcune opere non siano state nemmeno visionate, tanto sono striminziti i dati, quando non completamente assenti (vedi la scheda di The long days). Manca completamente la “ricerca”, elemento imprescindibile di ogni saggio: non si può essere presi sul serio quando si confessa ingenuamente che non si sa perché la regia di Orazi e Curiazi è attribuita sia a Young che a Ferdinando Baldi, o quando si afferma che “Si dice che Young si sia ispirato a Il conquistatore del Messico” senza indicare perché e in che modo. Non c’è analisi tecnica, critica, ma si preferisce riempire lo spazio con lunghe sinossi, riportare gossip o curiosità sugli attori coinvolti, anche se non sempre (vedi la parte che sottolinea l’importanza del montatore Peter Hunt per la serie di James Bond). Indispone vedere due righe solamente per i film minori, sconosciuti, di un regista che si vuole rivalutare!